Nel 1978, probabilmente, Hillary Rodham Clinton non aveva tempo per un romanzo di oltre mille pagine: Bill, suo marito, era appena diventato governatore dell'Arkansas, la lunga marcia verso la Casa Bianca era appena cominciata (uno dei due doveva arrivarci per forza, ma già allora l'ideale era l'ambo) e poi, diciamocelo, James Albert Michener non aveva faina di scrittore raffinato. Un'ambiziosa intellettuale liberal, nel caso, aveva altro da leggere. Ma anche al Donald Trump dell'epoca un librone come La baia non doveva interessare più di tanto. Impegnato com'era a non sfigurare nel confronto con il padre, il trentaduenne immobiliarista poteva magari apprezzare il parziale elogio della libera iniziativa commerciale. Per il resto, quel continuo discutere di religione e di uguaglianza, di diritti civili e di regole della politica aveva tutte le caratteristiche per risultargli abbastanza fastidioso. Cambierebbe qualcosa se oggi, a quasi quarant'anni dalla prima edizione, il libro di Michener finisse nelle mani dei candidati alle presidenziali 2016? Difficile rispondere. Di sicuro, su iniziativa della casa editrice e/ o, La baia torna disponibile per il lettore italiano (la traduzione, di Grazia Lanzillo, è la stessa apparsa a suo tempo da Bompiani). La riproposta gode di un tempismo eccellente, considerato che anche su questa sponda dell'Atlantico si fa un gran parlare dell'America e del suo destino prossimo. E poi, volendo, la saga di Michener si presta al gioco delle identificazioni e attualizzazioni. La combattiva Rosalind ha qualcosa dell'altrettanto pugnace Hillary, la dinastia affaristica dei Trump è adombrata nella spregiudicata schiatta dei Turlock. mentre la coppia di schiavi liberati composta da Eden e Cudjo Cater tradisce un discreto pendant obamiano.
Si scherza? Neppure troppo. Fornire una rappresentazione plastica della storia statunitense è stato, in fondo, il non dissimulato obiettivo della narrativa di Michener fin dall'esordio relativamente tardivo con Nostalgia del Pacifico, subito trasformato in musical e premiato con il Pulitzer. Era il 1947 e l'autore aveva quarant'anni, se si decide di prestare fede ai dati anagrafici che fissano a New York, nel 1907, la sua nascita. Cresciuto in una famiglia adottiva di quaccheri (proprio co1ne i Paxmore, una delle famiglie protagoniste della Baia), lo scrittore ottenne successo con una serie di romanzi straordinariamente popolari, da Hawaii (1959) ad Alaska (1988). Morto nel 1997 con il rimpianto un po' ingenuo di non essere mai stato preso in considerazione per il Nobel, Michener non era un autore letterario, per quanto i suoi libri rivelino un'indubbia ammirazione nei confronti della tradizione. La forza della sua scrittura risiede principalmente nell'ampiezza della documentazione e nell'affidabilità della struttura, doti che si ritrovano puntuali nella Baia. Le vicende del romanzo si distendono per quattro secoli, dalla fine del Cinquecento, quando le prime "Grandi Canoe" degli europei giungono a sconvolgere la vita dei nativi, fino all'assai novecentesco scandalo Watergate. L'unità di luogo è garantita dalla zona costiera di Chesapeake, tra Virginia e Maryland, e a movimentare l'intreccio contribuiscono i legami tra un gruppo di famiglie giunte nel Nuovo Mondo per le ragioni più disparate. Fanno da capofila i cattolici Steed, scelta vagamente kennedjana che ha il merito di ribadire la centralità dell'elemento religioso nella politica americana. Sia detto senza offesa, ma questo a Trump qualcuno deve averlo ricordato. Hillary Clinton, a quanto pare, è ancora in attesa del suggerimento.