Capita raramente, agli appassionati di gialli “vecchio stile”, di leggere una storia geniale, in grado di ammaliare e stupire dall’inizio alla fine. Se poi si è anche amanti dell’arte, in particolar modo di pittori impressionisti, il libro risulterà una vera e propria perla, capace di evocare, una volta terminato, un’immediata nostalgia.
È il caso di Ninfee nere del pluripremiato scrittore francese Michel Bussi, uscito in patria nel 2011, e dal 9 giugno 2016 presente nelle librerie italiane, grazie a Edizioni E/O.
Il meccanismo, attraverso cui questa storia è strutturata, si rivela audace e complicato. Ambientato nel maggio 2010 a Giverny, punta i riflettori sulla cittadina della Normandia famosa per essere stata meta privilegiata dal pittore Monet, nonché luogo in cui egli ha dipinto le sue ninfee.
Il tempo si dilata e si restringe, a seconda del momento, con picchi che raggiungono anche i lontani 1937 e 1963, nell’atto di descrivere personaggi che si succedono sulla scena; “attori” nel paese in cui Claude Monet (1840- 1926), stabilendovi la sua residenza, aveva dipinto capolavori lasciati poi in eredità al Museo Marmottan.
L’oftalmologo del posto viene ritrovato ucciso, con la testa fracassata ed immersa proprio in quelle acque che alimentavano il laghetto delle ninfee di Monet. Tre donne carismatiche indagano, ciascuna a proprio modo, interagendo con un ispettore “sui generis”, poiché motociclista e amante della pittura, nonché sensibile al fascino femminile. Con quest’ultimo, il suo vice: un uomo totalmente metodico, quanto arguto e ligio al dovere.
Tre donne vivevano in un paesino. La prima era cattiva, la seconda bugiarda e la terza egoista. Il paese aveva un grazioso nome da giardino: Giverny…Erano tre persone molto diverse. Eppure avevano qualcosa in comune, una specie di segreto: tutte e tre sognavano di andarsene. Sì, di lasciare la famosa Giverny, paese il cui solo nome faceva venire voglia a una quantità di gente di attraversare il mondo solo per farci due passi. Sapete naturalmente perché: per via dei pittori impressionisti.
Ninfee nere è uno di quei rari romanzi in cui è impossibile dire di più. Poiché, così facendo, si toglierebbe al lettore il piacere di godere dei continui colpi di scena che si susseguono a ritmo serrato. L’indagine trova sfondo nei paesaggi suggestivi della piccola cittadina, con quella sua particolare luce che ha spinto a radunarsi lì i pittori americani, così come artisti provenienti da qualunque parte del mondo. La scuola, il cimitero, l’alta torre della “strega” dalla quale si può spiare tutto, sono luoghi comuni alla trama, suggestivi e ricchi di fascino. Così come quella “casa rosa” che fu di Monet, col ponte e il laghetto delle ninfee, divenuta in seguito meta ambita dai turisti.
Agli amanti del giallo, consiglio caldamente questo romanzo, che si struttura come un gioco di specchi, quasi l’autore fosse un illusionista, del cui operato è difficile distinguere la realtà dall’immaginazione. Il lettore cade in una sorta d’ipnosi, da cui non è semplice risvegliarsi. D’altro canto, con Monet non si vede il mondo reale, bensì se ne colgono soltanto le apparenze.
Quei tredici giorni sfilarono via nelle loro vite come una parentesi. Troppo breve. Anche crudele. La parentesi si aprì il primo giorno con un omicidio e si chiuse l’ultimo giorno con un altro omicidio.
Che sia un romanzo geniale l’ho già detto. Allora, aggiungo anche portentoso ed estremamente originale. Altre parole, sarebbero superflue.