La letteratura talvolta va vissuta come un gioco, un divertissement in cui l'autore non pretende attestati di immortalità, ma anche solo un applauso, un passaparola soddisfatto, l'invidia di chi scrive e crea storie senza aver mai sfiorato quella fulgida, diabolica - anche commossa, in questo caso - intuizione. Sto parlando di Ninfee nere del francese Michel Bussi, best-sellerista di lungo corso in patria ma ancora sconosciuto qui da noi. Un noir, all'apparenza, un enigma delittuoso da sciogliere in quel di Giverny, in Normandia, dove viene rinvenuto ai bordi di un ruscello il cadavere di un noto esponente della borghesia locale, il chirurgo Jerome Morval. Giverny, esatto, l'eden di Claude Monet divenuto negli anni una cartolina vivente a misura di turista: le campagne, i ruscelli, il giardino, la casa, l'atelier. Le ninfee, soprattutto. Un altro giallo con personaggio famoso incluso? Assolutamente no, bensì un geniale stratagemma narrativo che procede in maniera classica dal punto di vista poliziesco, perché a tenere il bandolo della matassa sono i vari personaggi e le loro storie private, e il vero delitto sarebbe svelare l'inganno, non della trama ma quello narrativo. I lettori si perdano dunque per qualche deliziosa ora tra le campagne della Normandia, cerchino di capire cosa nasconderà l'ottuagenaria che vive nel mulino delle Chennevieres e interviene nella storia come un elemento disturbante, che osserva, critica e sembra conoscere i segreti di tutti gli altri attori del dramma.
E gli altri sono la sensuale maestra Stephanie, nata e vissuta a Giverny, concupita, parrebbe, dal medico defunto ma apaticamente fedele al rude marito Jacques. E poi l'undicenne Fanette, magnifica pittrice in erba, che vorrebbe partecipare a un importante concorso internazionale, ma le cui ambizioni sono frustrate dalla madre e dalle liti gelose tra due suoi compagni di scuola, il generoso Paul e il violento Vincent. E ancora, lui Laurence Serenac, l'ispettore venuto «da fuori», a bordo di una splendida ma antiquata moto, una Triumph Tiger, e che insieme al collega Sylvio Benavides indaga sul delitto.
Unite i puntini neri di queste storie intrecciate, aggiungeteci il quasi inevitabile colpo di fulmine tra il poliziotto e la maestra, la cartolina trovata in tasca al defunto con gli auguri rivolti a qualcuno che compie undici anni, i riferimenti inesplicabili a un'analoga morte - quella di un bambino - che risale al lontano 1937, più altri dettagli spiazzanti, e non sarà facile capire da che parte stia la verità, o quante verità si nascondano tra le bucoliche campagne di Giverny.
Claude Monet c'entra come nume tutelare della storia e come enigma di fondo, sull'esistenza di un presunto dipinto creato in punto di morte e da lui chiamato «Ninfee nere». Ma è solo un dettaglio in più che coinvolge il lettore, e occorre aspettare la fine del romanzo per capire il drammatico, umano, commosso, enigma messo in piedi da Michel Bussi, che per 350 pagine gioca con le carte di un geniale illusionista e ci fa vedere tutte quelle verità che non sappiamo - non vogliamo - vedere. E scoprire che il romanzo è una finzione, la vita è una finzione, spesso anche l'arte è una finzione, è il più bel regalo che si possa chiedere a una storia intensa, appassionante e delicata come questo Ninfee nere. Tutto si potrebbe capire - volendo - dalle due paginette introduttive, ma sarebbe quello il vero delitto e allora lasciatevi accompagnare da questo amabile viaggio a Giverny e nel tempo, e forse scatteranno insieme, alla fine, l'applauso e la lacrimuccia.