Saleem Haddad pubblica per e/o “Ultimo giro al Guapa”, un romanzo, il suo primo, molto coinvolgente sul piano emotivo, molto interessante dal punto di vista sociale e politico: apprendiamo nelle sue pagine, intense e profonde, cosa sta succedendo nel mondo arabo dopo che il sogno delle “Primavere arabe” si sta sgretolando di fronte alla violenta offensiva dei partiti religiosi e dei fondamentalismi islamici.
Siamo ai giorni nostri in una grande città mediorientale, governata da un Presidente che ha instaurato un regime dittatoriale e repressivo, dove però i giovani che hanno studiato all’estero e conoscono l’occidente, riescono a ritagliarsi spazi di apparente libertà: Rasa è un frequentatore del locale alternativo Guapa, dove si riuniscono, un po’ segretamente, gay e lesbiche, dove si beve, si fuma, e assiste alle performance della Drag Queen Maj, che è un ragazzo effeminato amico di Rasa, anche lui omosessuale ma in segreto: vive infatti con la nonna Teta, che l’ha cresciuto dopo che la madre, pittrice anticonformista, era fuggita incapace di sottostare alle regole tradizionaliste imposte dalla suocera, e il padre era morto poco dopo. Rasa era andato per quattro anni a studiare in una università americana, dove credeva di riuscire ad essere libero, ma si era sentito terribilmente solo, e il suo tentativo di stabilire una relazione con un ragazzo di origini arabe era fallito miseramente: le sue numerose identità di gay, di arabo, di militante, non erano riuscite a trovare una giusta dimensione. L’amicizia con la francese Cecile non era riuscita a sfondare le sue ritrosie, aveva invece incontrato la connazionale Leila, generosa e fortemente impegnata nella causa della libertà delle donne, ma poi era tornato a casa, incapace di abbandonare la nonna, che lo aveva sostituito in tutto con il figlio morto.
La storia raccontata in prima persona da Rasa si svolge nel corso di poche ore: la notte, a letto nella sua stanza in intimità con il suo amante segreto Taymour, viene visto dal buco della serratura dalla nonna, che urla la sua riprovazione. Taymour disperato si allontana e malgrado Rasa lo insegua con messaggi insistenti, si defila perché non in grado di reggere lo scandalo: infatti quella stessa sera si sposerà per non deludere i suoi genitori, celebrando un sontusoso matrimonio tradizionale con Leila, anche lei desiderosa di nascondere le sue idee progressiste al riparo da un matrimonio borghese.
La sofferenza di Rasa, quella del suo amico Maj, arrestato in un cinema dove si riuniscono i gay e pestato dalla polizia del regime, il dispiacere profondo per il tradimento di Taymour, l’incapacità nell’affrontare la violenza dell’islamismo che sta per succedere al se pur odioso regime del Presidente, ci raccontano una società profondamente contraddittoria, una grande speranza finita nel nulla, un mondo che conosciamo troppo poco e di cui gli aspetti più conturbanti non arrivano sulla grande stampa internazionale. Rasa, che lavora come traduttore, assistendo la giornalista americana Laura, incontra Ahmed, un religioso fanatico a cui non osa rivelare di essere omosessuale agnostico: finirà per inginocchiarsi per la rituale preghiera, incapace di fronteggiare la propria profonda identità.
Un romanzo bello, vero, pieno di umanità, capace di raccontare una storia dolorosa, ma, forse alla fine, piena della speranza che si può ancora combattere:
“Forse dovremo andare a manifestare!”. “Si, si, è una splendida idea. Andiamo a manifestare. Contro chi?” “Contro tutti. Contro tutti.”