Quando si sveglia, nell'appartamento che divide con la nonna nel centro affollato e bollente di una metropoli del mondo arabo, il giovane Rasa ha in bocca il sapore acre delle sigarette e della paura. La notte prima, l'anziana donna l'ha sorpreso con il suo amante. E ora un sms lo avverte che un amico con cui ha passato la sera in un bar è scomparso e forse è nelle mani della polizia. Si apre così “Ultimo giro al Guapa” (edizioni e/o), il romanzo d'esordio di Saleem Haddad. La sua famiglia d'origine e i luoghi in cui ha vissuto fanno di Haddad una sorta di mappa vivente del vicino Oriente: madre tedesco-irachena, padre libano-palestinese, ha passato l'infanzia in Kuwait e in Giordania. Poi, lavorando per Medici senza Frontiere, ha seguito le primavere arabe in vari paesi tra cui l'Egitto. Oggi fa il consulente free lance per varie agenzie umanitarie. Tutta questa ricchezza di vita e d'esperienze, unita alla prospettiva faticosa e talvolta straniante di essere un gay arabo con un'educazione di stampo occidentale, si riversa nella complessità della sua scrittura. In 'Ultimo giro al Guapa' guardiamo con gli occhi di Rasa la realtà quotidiana del mondo arabo. Tenuto in sospeso dal compagno Taymour, spaventato dalla possibilità che qualcuno possa scoprire la loro relazione, Rasa attraversa la città fino ai sobborghi più poveri, accompagna una giornalista americana come traduttore a incontrare un oppositore islamista, incontra gli amici con i quasi è sceso in piazza durante la rivoluzione breve e tradita. E scopre che il bisogno di sicurezza e la paura dell'eib, la vergogna, hanno il potere di soffocare passioni e sogni.
La nazione in cui ha scelto di ambientare il romanzo non è mai nominata. Ma per il lettore italiano, soprattutto dopo la morte di Giulio Regeni, viene spontaneo identificarla con l'Egitto di oggi
"Il fatto che l'opinione pubblica italiana non si rassegni e continui a chiedere la verità sulla morte di Regeni è confortante, perché getta luce sulle torture e le sparizioni che accadono lì da anni. Ma in realtà lo scenario del romanzo non è l'Egitto. O meglio: non è solo l'Egitto, è una sorta di mix dei paesi mediorientali che conosco e nei quali ho lavorato e vissuto. Ho fatto questa scelta perché non volevo che la trama fosse soffocata da una lettura politica. Preferivo che il focus restasse sul protagonista, Rasa, e i suoi comprimari. Sulla sua ricerca di identità, sul suo sentirsi 'fuori posto' ovunque, sulle relazioni sociali".
Il suo sguardo su Rasa, che in quanto gay è costretto a una doppia vita, si fa metafora del disagio e della disperazione di tutti coloro che in una società repressiva non sono liberi di essere se stessi: le donne, le minoranze, i dissidenti politici
"Il mondo arabo non è monolitico e la situazione dei gay varia molto da paese a paese. In Libano una legge proibisce la sodomia, ma c'è una scena gay molto viva e attiva. In Giordania non ci sono leggi contro gli omosessuali ma la società è molto conservatrice. Quel che volevo mostrare è che le società arabe sono multiformi e complesse. Molti fattori si incrociano nel determinare il grado di libertà di cui ciascuno può disporre, con la ricchezza a fare spesso da discrimine. Una persona di classe sociale elevata, uomo o donna che sia, avrà una certa percezione di sé, completamente diversa da chi vive in una periferia povera. Credo anche che non si possa risolvere tutto attribuendo la tendenza repressiva a una politica corrotta a o all'Islam. In ballo c'è un concetto più intimo, interiorizzato, che è quello dell'eib, qualcosa che ha a che fare con il pudore e la vergogna. Cresciamo sotto l'ombrello dell'eib, di ciò che è bene fare o non fare in pubblico e nelle relazioni sociali: è un freno ma anche un regolatore sociale molto forte. Chi come me ha studiato in Occidente ha il privilegio di vedere le cose da due prospettive contemporaneamente. E' questo doppio sguardo quello che volevo restituire"
Gli amici e le amiche intime di Rasa hanno partecipato alle manifestazioni di piazza. Come lui, hanno sentito l'abbraccio della rivoluzione “come quello di una madre”. Ora la repressione si è fatta ancora più dura. Quindi è stato un fallimento totale?
"Se guardiamo alla situazione attuale, in Egitto ma non solo, sembra che la fiamma si sia totalmente spenta. Ho cercato di evocare l'entusiasmo che quella generazione ha provato quando, per la prima volta, le persone hanno potuto davvero parlarsi, esprimersi, dialogare. Anche se quell'impeto è stato tradito e represso, viaggiando nei paesi arabi incontro un sacco di giovani attivisti che lavorano nel sociale, che non si arrendono e vogliono un mondo diverso. Alcuni ovviamente si sono arresi, altri continuano a lottare ma sanno che il cambiamento sarà molto più lungo e faticoso di quello che speravano. E magari non lo vedranno nel corso della loro vita. I governi e le forze più retrive di queste società hanno agito sulla paura, chiedendo alla popolazione di barattare le libertà con un presunta sicurezza. E' il tipo di demagogia che del resto attecchisce anche in Europa, dove il discorso politico è dominato dalla paura del diverso e dalla paranoia della sicurezza"
Quando va a trovare l'islamista Ahmed, Rasa prova per un attimo il desiderio di fare la sua vita, di avere come lui un'affiliazione religiosa forte. Anche in Europa, nelle seconde generazioni, molti si riavvicinano all'Islam. Perché?
"Quel che Rasa avverte è il conforto di una vita scandita da regole, rituali, certezze. Dove c'è un libro, dove ci sono delle preghiere, ruoli sociali e un set di regole che ti spiega cosa fare e quando, si può sperare di essere meno esposti all'incertezza della vita, in un contesto sociale dove il singolo non ha potere su nulla. Credo che questa sia la molla che porta anche chi è emigrato in Europa o è figlio di emigrati a cercare rifugio nella religione: il desiderio di appartenza. Rasa, che non viene da un contesto religioso e che per di più è gay, sente il fascino di questa scelta, ma sa che la sua esistenza va in direzione contraria. Sa che ogni sua affiliazione sociale non può che essere provvisoria, e deve fare pace con il fatto che non c'è nulla di così definitivo e certo a cui aggrapparsi e fare riferimento"