Un filologo di Bogotà compra una casa di tre piani nel quartiere di Chapinero grazie al denaro vinto in un concorso internazionale. Quest'uomo, solitario e un po' ritirato, vive con la zia, un'avvocata dell'Onu, militante di sinistra che lo ha adottato quando aveva sei anni, dopo che un incendio ha portato via la sua casa e la vita dei suoi genitori. Dopo aver vissuto per un certo tempo all'estero, vuole tornare a Bogotà, la città della sua infanzia, per sistemarsi finalmente in una casa sua. "Uno dei grandi temi della letteratura occidentale è l'idea del ritorno a casa", riflette Santiago Gamboa. "L'idea viene dall'Odissea. Tornare a casa, al luogo da cui veniamo. Tornare all'identità. La casa ha quasi il significato dell'utero materno". Nel romanzo il filologo è affascinato dalla scoperta dei mondi nascosti della capitale, gli spazi crudeli, perversi e pericolosi che molti non vedono nemmeno. Grazie al suo autista, Abundio, il protagonista conosce i venditori di basuco, la cocaina dei poveri, gli spettacoli erotici del centro e si ritrova perfino in una festa omosessuale in stile nazista. Il filologo è un viaggiatore che torna alle sue radici per appropriarsene. Una casa a Bogotà è una metafora del ritorno che può a sua volta segnare il punto di partenza di un nuovo viaggio. Il romanzo è un'esplorazione della memoria e una riflessione sui luoghi ai quali ci piacerebbe tornare e su quelli che vorremmo scoprire.