Le polemiche che hanno accompagnato il triste episodio delle statue censurate ai Musei Capitolini, durante la visita ufficiale del capo di stato iraniano Rouhani, hanno visto intervenire con dichiarazioni autorevoli studiosi. Segnalo in modo particolare l’articolo della docente e studiosa bizantinista Silvia Ronchey, che ha scritto su Repubblica il 28 gennaio come
“la rappresentazione della figura umana proprio nella miniatura persiana ha avuto il suo massimo fulgore ed è peraltro ben presente nell’urbanistica odierna di Teheran, ad esempio nei grandi murales degli eroi della guerra antirachena”.
A tal proposito, per confermare la grande tradizione della cultura persiana, vale la pena segnalare come ci sia un gran numero di scrittrici che in anni recenti ha scritto sulla condizione femminile e non solo in Iran, sulle contraddizioni, sui diritti negati, sullo sforzo per costruire una società più giusta.
Nahal Tajadod firma “L’attrice di Teheran" (E/O 2013), un romanzo intenso nel quale due donne iraniane di età diversa dialogano sul tema della libertà a Parigi, lontane dalla dittatura khomeinista, in un Iran che dopo la fine dello Shah, il corrotto Reza Phalavi, era divenuto, sotto il
governo dell’Ayatollah Khomeini,
“un regime teocratico, improntato alla più dura e repressiva logica religiosa, retrocedendo il paese dal punto di vista del costume e della vita quotidiana, trasformandolo in un’enorme prigione dove era bandita ogni forma di espressione: cultura, musica, danza, cinema, teatro, abbigliamento, sessualità divennero oggetto di una maniacale persecuzione da parte di una classe religiosa e un apparato burocratico tanto cieco quanto pervasivo”