Le polemiche che hanno accompagnato il triste episodio delle statue censurate ai Musei Capitolini, durante la visita ufficiale del capo di stato iraniano Rouhani, hanno visto intervenire con dichiarazioni autorevoli studiosi. Segnalo in modo particolare l’articolo della docente e studiosa bizantinista Silvia Ronchey, che ha scritto su Repubblica il 28 gennaio come
“la rappresentazione della figura umana proprio nella miniatura persiana ha avuto il suo massimo fulgore ed è peraltro ben presente nell’urbanistica odierna di Teheran, ad esempio nei grandi murales degli eroi della guerra antirachena”.
A tal proposito, per confermare la grande tradizione della cultura persiana, vale la pena segnalare come ci sia un gran numero di scrittrici che in anni recenti ha scritto sulla condizione femminile e non solo in Iran, sulle contraddizioni, sui diritti negati, sullo sforzo per costruire una società più giusta.
Infine l’italiana Chiara Mezzalama nel suo bellissimo e poetico romanzo dal titolo fiorito, “Il giardino persiano” (e/o, 2015) racconta la sua esperienza di bambina di nove anni, figlia dell’ambasciatore italiano nella capitale iraniana sotto il regime di Khomeini, nella magnifica residenza estiva, fuori Teheran, dove lei e il fratello minore Paolo vissero un’estate incantata, mentre fuori la guerra infuriava. Durante una festa vennero a suonare nella villa un gruppo di artisti iraniani che fecero uno straordinario concerto, malgrado la feroce censura impedisse la musica come ogni altra espressione artistica.
L’Iran è una grande paese, con grandi capacità di esprimere artisti, che va rispettato nel suo tentativo di resistere alla dittatura, alla violenza, alla ferocia contro la diversità e l’opposizione. La letteratura cerca efficacemente di farlo.