Sarà per la suggerita somiglianza con Johnny Depp, ma Gerri Esposito, il poliziotto che indaga in un’assolata Bari, intriga parecchio. È un personaggio, quello nato dall’inventiva di Giorgia Lepore, che affascina perché è un outsider, o forse perché lui si sente tale, ma in effetti non lo è così tanto. Intendo dire che nelle regole del genere giallo la natura ferita di colui che indaga è un must.
coverLeporeLincoln Rhyme è l’esempio eclatante, con la sua paraplegia, ma anche Luigi Ricciardi, con quel vulnus nell’anima che lo fa soffrire e lo rende permeabile al dolore delle vittime, menomazione che pensare alla zoppìa di Giacobbe che lotta con l’angelo, ma anche alla sua controparte, quell’essere demoniaco che ha come icona Mr. Hide. In questa scia, anche l’algido Gerri nasconde la sua vulnerabilità, che consiste nell’essere rom, e nell’esserlo segretamente. Questa consapevolezza e il fatto di essere stato cresciuto da persone che lo amavano, ma a cui, conclude razionalmente, non apparteneva, gli rendono difficile aprirsi, fidarsi. Eppure il suo superiore, amico e mentore, Alfredo Marinetti, davvero gli vuole bene e Gregorio lo sa.
Questa sua identità sfuggente, eppure tanto appassionata da non poter accettare di lasciarsi sfuggire neppure un indizio pur di arrivare alla verità, è quel quid che conquista. Al tempo stesso vediamo una natura vagabonda, inconsapevole di sé stessa per certi versi, perché non sa razionalizzare, verbalizzare, condividere la realtà delle sue passioni. Come dimostra questa frase, che mi ha fatto amare moltissimo questo personaggio: “Allora cos’era quella cosa che non ti fa desiderare qualcuno, un corpo, un seno, un culo, magari, e invece ti dà la certezza che per una persona saresti disposto a dare la vita? Ecco, quello c’era, per Claudia così come per Lavinia, e a dimostrare che non erano solo parole ci stavano tre buchi in corpo, cazzo”. Già, perché Gerri ama, anche troppo, visto il suo successo con le donne, ma i rapporti che lo segnano di più sono quelli nei quali non è la passione fisica a dominare. Non a caso è un genio dell’inazione nel farsi lasciare dalle sue conquiste.
Il caso in cui è coinvolto è quello di omicidi seriali di giovani donne, lasciate in anfratti degli scogli, ricomposte ad arte, seminude, con una busta di plastica sulla testa. Eppure l’assassino sfugge, forse non è quello che la polizia si è afrettata ad arrestare, forse è qualcuno di insospettabile, qualcuno protetto da connivenze, pericolose per Gerri.
Giorgia Lepore non risparmia il disagio a noi lettori. Non ci fa questo favore: perché ogni personaggio è cesellato dal di dentro, con colori acidi, spesso, che attingono dalla vita: l’assassino, i conniventi, le madri, numerose e variegate, a giustificare il titolo, e le vittime. Il lettore sfiora tutti e si immerge nel loro punto di vista, troppo perché non faccia male. Né i rapporti che stringe quasi suo malgrado Gerri sono facilmente incasellabili, e chi legge si sente diviso, forse più del protagonista stesso, fra la vita che scorre accanto e attraverso Gerri e i pensieri di lui, che mostrano una realtà alternativa, l’urgere dei suoi desideri, dei suoi rimpianti, delle reazioni che non mostrerà mai, e che sono nascoste dietro la superficie levigata della sua faccia bruna.
I vari personaggi sono dipinti con la stessa capacità di introspezione che colpì nel romanzo di esordio di Giorgia Lepore, L’abitudine al sangue, un romanzo storico notevolissimo pubblicato dalla Fazi Editore nel 2009.
La vicenda di I figli sono pezzi di cuore è intricata, gestita con eleganza attraverso flashback che incatenano e sfidano il lettore, e anche in questo senso il romanzo si rivela scomodo, ma la qualità più notevole è proprio il sapore di vita vera che questa storia possiede, mentre tocca il tema difficile della maternità, dei vari modi di concepirla, e sottolinea la necessità assoluta di autenticità, in certi momenti sfuggenti di Gerri stesso e di Lavina, personaggio meraviglioso nella sua complessità.
La struttura, il sapore stesso di questo romanzo, primo episodio di una nuova serie, fa pensare ai grandi gialli, quelli che all’estero le persone non hanno problemi ad annoverare nella letteratura e che qui in Italia ancora noi trattiamo con condiscendenza, come “narrativa di genere”. Penso in particolare agli affreschi della Napoli anni ’20 che scrive Maurizio De Giovanni, ma anche ai gialli di Jussi Adler Olsen, scrittore danese che ha dato al suo poliziotto protagonista, Carl Mørk, la responsabilità di indagare, scavare in storie gialle che sono spaccati della malattia della società contemporanea, mantenendo tutta la controversa ambiguità di una personalità difficile.
Sembrano saggi di sociologia questi romanzi, e forse lo sono. In questi gialli, in questi poliziotti, c’è l’uomo di oggi. Un tipo di uomo che si può definire antieroe per la sua mancanza di perfezione, ma pure un alfiere della giustizia, o almeno della ricerca della verità. Così è anche Gregorio Esposito, che, senza sembrarlo, combatte per essere se stesso, per essere certo delle coordinate della propria identità, senza cercare di apparire simpatico, senza parlare molto, senza condividere nulla: un unicum in quest’era della condivisione estrema. E nel farlo, cerca di fare la cosa giusta. Gerri Esposito è un solitario, che ama fino alle estreme conseguenze e che non ammetterebbe mai di amare così.
L’autrice manomette un poco le norme del giallo, a mio parere – e questo avalla l’ipotesi che il genere sia un pretesto – quando colloca (SPOILER) il ferimento di Gerry non proprio alla fine del romanzo, rendendo la sua difficile convalescenza una parte importante dello sviluppo del personaggio. Forse proprio perché è più importante ciò che accade in Gerry, che non le vicende intorno. (FINE SPOILER)
Non aspettiamoci infatti superficiali ferite alla spalla che vedono l’eroe tornare in ballo subito, senza conseguenze. Forse è perché la vita ferisce, e la finzione vuol dire qualcosa d’importante sulla vita. E manomissione è anche la conclusione del romanzo, ma questo sarebbe un superspoiler e non lo voglio sulla coscienza. Attenti tutti a Gerri Esposito: non è un tipo che si dimentica tanto presto, e soprattutto qui si vuole assolutamente sapere quello che gli succede dopo.