Intervista a Giorgia Lepore, autrice di “I figli sono pezzi di cuore”, a cura di Danilo Villani per Sugarpulp MAGAZINE.
Le dichiarazioni recentemente rilasciate dal direttore di una libreria appartenente a un grosso gruppo editoriale hanno scatenato una serie di polemiche sul ruolo e sulla presenza delle autrici nell’editoria stessa.
L’intervista con Giorgia Lepore, scrittrice pugliese, imperniata sul suo ultimo romanzo I figli sono pezzi di cuore è significativa e chiarificatrice in quanto contribuisce, in maniera disarmante, a demolire certi preconcetti che, come le suddette polemiche, dimostrano solo la loro sterilità.
L’intervista
Il romanzo noir I figli sono pezzi di cuore è la tua seconda opera. La prima è L’abitudine al sangue romanzo storico ambientato ai tempi dell’impero bizantino. Qual è stata la molla che ti ha spinto ad un cambio di genere così repentino?
In realtà il cambio è meno repentino di quanto potrebbe sembrare a prima vista. L’abitudine al sangue in fondo contiene degli elementi noir, è un romanzo in cui uno degli snodi principali è un omicidio.
Scrivendolo mi sono accorta che quegli elementi mi interessavano molto, e che cambiando gli scenari avrebbe potuto essere tranquillamente un noir contemporaneo. “L’abitudine” è un romanzo di relazioni, di un rapporto difficile tra un padre e un figlio, e anche I figli sono pezzi di cuore contiene questo filo conduttore: le relazioni, stavolta tra madri e figli.
Inoltre, il noir e il giallo sono sempre stati la mia passione come lettrice, per cui è stato naturale per me confrontarmi con questo genere anche da scrittrice.
Il genere noir, salvo alcune eccezioni, è monopolizzato da artisti di sesso maschile. Ti senti un po’ suffragetta in questo contesto?
Ah, questi sono giorni di accese polemiche su questo tema… pare che il problema non affligga solo il noir, ma tutto il mondo letterario contemporaneo, almeno in Italia.
A livello internazionale le donne si difendono molto bene, direi, e ci sono scrittrici di noir che non hanno nulla da invidiare ai colleghi uomini non solo in termini di qualità ma anche in termini di visibilità. In Italia forse questa differenza è più marcata ma io la vedo soprattutto nella visibilità, perché le donne che affrontano il genere sono molte e sono brave, anche se si orientano più verso il giallo classico, con un’impronta spesso decisamente femminile.
Ma ognuna fa le scelte che sono nelle proprie corde, credo, e scrive di ciò che le interessa esplorare. A me, per ora, interessa questo, ma non mi sono mai posta la questione in termini programmatici o ideologici, e nei panni della suffragetta mi ci vedo malissimo.
Il genere noir è soprattutto analisi ed evidenza del territorio. Territorio che nel romanzo viene descritto in maniera puntigliosa, quasi maniacale. Quanto ha influito nella stesura il rapporto con la tua terra?
Moltissimo. Soprattutto perché io sono andata via, e poi sono tornata. So cosa vuol dire perdere il contatto con il territorio, so cosa vuol dire esplorare e adattarsi a posti nuovi, e so che vuol dire ritrovare i posti di sempre, vedendoli quasi come estranei.
Mi interessano questi aspetti: la perdita, la nostalgia, la sovrapposizione nella memoria di più luoghi amati e poi perduti, e il contatto con il territorio non solo da autoctono, ma anche da forestiero. A volte chi viene da fuori vede cose che chi è nato nel posto non vede, o ha una percezione differente dei luoghi: la mia Bari è la Bari di chi non ci è nato, ma di chi ha imparato a conoscerla e ad amarla da fuori.
Un altro aspetto ha condizionato moltissimo il mio rapporto con il territorio: la formazione di archeologa. La lettura del paesaggio, urbano e rurale, è stato il mio studio e il mio lavoro per tanti anni, quasi venti, e questo ha lasciato una traccia profonda nel mio modo di relazionarmi all’ambiente che mi circonda, nel mio modo di “guardare” il mondo.
Tutti gli scrittori di genere attingono dalla vita vissuta gli spunti per lo sviluppo delle loro opere. Quanto la tua professione è stata d’aiuto, specialmente nelle caratterizzazioni delle teenagers?
All’inizio non me ne sono resa conto. È stato solo all’ennesima rilettura che piano piano è affiorata la consapevolezza di questa cosa, ma non saprei identificare persone e caratteri precisi.
Sono talmente mescolati tra loro i vari elementi che non riesco a scinderli, ma senza dubbio la frequentazione quotidiana di adolescenti mi ha aiutata e mi ha reso più semplice la resa di molti tratti caratteristici, comportamenti, pensieri, abitudini.
Però credo che abbia avuto un peso anche il fatto che ho un ricordo molto vivido della mia adolescenza, di quel periodo magnifico e terribile, in cui tutto è amplificato ed eccessivo, e che continuo a ritenere il periodo più difficile e intenso della mia vita, ma credo della vita di tutti. Scrivere dell’adolescenza è altrettanto bello e complicato.
Il protagonista, ispettore capo Gregorio Esposito, è indubbiamente un personaggio particolare. Di origini nebulose, incapace di rapporti duraturi con l’altro sesso, incapace di mettere radici. Fanno però da contraltare la sua professionalità e la sua capacità deduttiva e raziocinante. Come nasce una figura del genere?
Eh… non lo so. Veramente non ne ho idea. È venuto fuori dal nulla, in una estate in cui ero al mare e mi annoiavo, dovevo scrivere un articolo sui longobardi e non ne avevo alcuna voglia. Difficile riuscire a ricostruire i percorsi attraverso i quali vengono fuori le storie e i personaggi, soprattutto per chi come me non programma nulla di quello che scrive.
A volte sono sogni, immagini, ricordi sedimentati in qualche zona remota della coscienza, fatti sentiti chissà dove. Nel caso di Gerri è molto difficile da stabilire, so però che la sua “immagine” narrativa è diventata molto vivida e definita, e quando un personaggio diventa così vivo nella tua testa devi per forza dargli voce e lasciare che ti racconti la storia che porta con sé, perché per me è così: sono sempre loro, i personaggi, che hanno le loro storie da raccontare.
Romanzo corale con molte caratterizzazioni. Tra le tante spunta Lavinia, adolescente di famiglia benestante che avrà un ruolo determinante nello sviluppo della trama.
A dispetto della giovane età assume i panni della dark lady trascinando il protagonista in una specie di “amour fou”. È forse il modello della ragazza tipo del terzo millennio?
Questo è interessante perché dimostra una cosa che ho verificato più volte: il romanzo è di chi lo legge, più che di chi lo scrive. Io Lavinia la percepisco in modo completamente differente, e provo per lei grande tenerezza. È maldestra, eccessiva, contraddittoria, insicura, una sorta di Lolita malriuscita. E forse sì, in questo direi che è molto “terzo millennio”.
A mio avviso il romanzo è grosso modo diviso in due parti: la prima che segue i canoni del “giallo” con tanto di scoperta del delitto ed avvio indagini.
La seconda imperniata su monologhi interiori, sorta di stream of consciusness, che coinvolgono tutti i personaggi portando il lettore alla conclusione del caso. Questa tecnica è forse retaggio di esperienze formative del tuo passato?
Esperienze letterarie, forse, ma non saprei identificarle con precisione, una contaminazione tra tutta la letteratura gialla e noir che ho letto e quella della prima metà del ‘900, in cui il flusso di coscienza è senz’altro uno dei tratti dominanti.
O forse è solo che dando voce ai personaggi accade questo: la narrazione in terza persona diventa inevitabilmente “soggettiva”, come fossero tante prime persone che raccontano da punti di vista diversi.
Come enunciato nella precedente domanda la tua opera è ad un tempo noir ed introspettiva. Un’opera certamente complessa che si presume ti abbia strappato tempo ed energie. Ciò se ne desume dallo stuolo di ringraziamenti presenti alla fine del romanzo. Nonostante l’evidente fatica occorsa, da lettori spietati ci chiediamo: rivedremo ancora in azione l’ispettore Esposito?
La prima stesura è la parte più veloce e divertente, e poi con le revisioni cominciano le complicazioni… e i ringraziamenti sono necessari, perché i dettagli tecnici sono tanti, e non si può trascurare nulla. Lo rivedremo, sì, e spero presto. E credo sia soprattutto per me che continuo a dargli voce, perché Gerri è un ottimo compagno di viaggio.
Il gossip letterario da per certo il tuo ingresso nella collana Sabot/age sempre per le Edizioni E/O. Come diciamo a Roma “e so’ soddisfazioni!”. Un tuo pensiero su questa svolta.
Bellissimo pensiero. Sono molto felice di questa svolta. Sabot/age è un esperimento di ricerca sul noir unico in Italia, ed entrare a farne parte è un piacere, un grande stimolo per andare avanti e fare cose nuove. In Sabot/age tutti hanno molto da insegnare, e io non vedo l’ora di imparare.