Cecilia di Linda Ferri (e/o) è
soprattutto
un romanzo emotivo, prima ancora
di essere un romanzo storico o biografico.
Nasce infatti dallemozione
ustionante che le ha dato unopera darte,
la statua seicentesca
di Santa Cecilia di
Stefano Maderno, custodita
a Roma nella
chiesa omonima.
Lartista scolpì a soli
24 anni la statua, ispirandosi
direttamente
al corpo allora rinvenuto
della santa: poggiata
su un fianco, il
volto rivolto a terra.
Solo attraverso un recente
restauro possiamo vedere la scultura
nella sua abbagliante bellezza e poi
questo volto, semi-nascosto agli astanti.
È come se la Ferri avesse voluto cominciare
da lì, dal bisogno di raccontare laltro
lato, con pudore e in modo partecipe.
Così scorre davanti a noi la vita di
Cecilia Metella, giovinetta vissuta nel
secondo secolo dopo Cristo (Marco Aurelio
imperatore), rampolla di una nobile
e ricca famiglia romana,
educata sui testi
classici dellantichità
e convertita al
cristianesimo, santa,
vergine e martire.
Dallansia per un matrimonio
imposto alle
gelosie violente e infine
alla rivelazione.
Sarebbe fuorviante
qualsiasi analogia con
Le memorie di Adriano,
in cui la Yourcenar ricostruisce meticolosamente
luniverso tardo-classico,
per ritrovarvi i caratteri di una malinconica
e adulta visione laica del mondo.
La Ferri aderisce al suo personaggio seguendone
fedelmente la curva del destino,
senza eccessive preoccupazioni filologiche
(anche se ovviamente si è documentata)
e senza cercare in esso delle
risposte ai nostri dilemmi. La narrazione
è lineare, casta.
Alla protagonista sono
imprestati modi di
esprimersi un po antiquati,
forse per evitare
un rischio di eccessivo
appiattimento
sul presente: dirà che
la musica «placa i tumulti
della mia natura
», mentre delle
azioni «non serviranno
a scongiurare il
suo biasimo».
Ma ciò che rende credibile
ogni pagina e ogni dialogo del libro
è proprio il rapporto di intimità che la
Ferri stabilisce con Metella. Anche a noi
accade di scoprire, insieme a lei, la verità
eversiva del cristianesimo, di quel
sentimento di fraternità che allimprovviso
rende il nostro prossimo più reale
e le cose piccole misteriosamente eterne!
E anche se le obiezioni del suo giudice
non sono così infondate (i pagani
sentivano tutta la follia della Buona
Novella, quellinvito a perdersi per ritrovarsi
in Cristo) il libro mette bene in
luce la novità scandalosa dei Vangeli, e
cioè lIncarnazione, il
dio che si fa carne (riscattandola),
contro
una cultura gnostica
che crede al corpo prigione
dellanima e allesistenza
come caduta.
È vero che poi il
cristianesimo stesso
ha offuscato negli anni
il sentimento della
bellezza del mondo,
ma è tema che meriterebbe
una considerazione a parte.
Questo romanzo mi ha evocato un
altro bel libro uscito un anno fa, Louise
di Eliana Bouchard, sulla moglie di
Guglielmo Il Taciturno, sempre in fuga
e perseguitata, sempre dalla parte
degli umiliati e offesi, avversa a guerre
e fanatismi. In entrambe le figure si
può percepire una radice, in parte
oscurata, della nostra stessa civiltà,
una razionalità diversa. Una idea femminile
dellesistenza e delle relazioni
tra esseri umani, che si contrappone
quasi naturalmente alla Storia e alla
logica della forza.