Chiunque abbia fatto in questi anni l’esperienza terribile di entrare in un lager sessanta o settanta anni dopo la fine della guerra, può capire quanto In paradiso di Peter Matthiesen (e/o, 2015) sia sincero, portatore di un grande dolore, testimonianza dell’indicibile, ricordo di una moltitudine di anime perse che in quei luoghi trovarono la loro fine atroce dopo torture inimmaginabili, evidenze storiche tuttavia ancor oggi negate, solo da pochi per fortuna.
Il professore americano Clements Olin, poeta di origine polacca, esperto nella letteratura della Shoah, torna a Cracovia nel 1996, con il pretesto di ammirare La dama con l’ermellino, il celebre ritratto che Leonardo da Vinci aveva fatto a Cecilia Gallerani, amante di Ludovico Sforza, quadro celeberrimo che aveva attraversato la storia con varie vicissitudini, fino alla confisca da parte del famigerato Hans Frank, governatore nazista della Polonia occupata, che lo aveva posto nel suo ufficio.
Olin però è giunto a Cracovia per una profonda attrazione che lo porta verso la cittadina che un tempo era chiamata Oswiecim e che cambiò il proprio nome nel tedesco Auschwitz.
Lì si svolgerà una sorta di incontro, un ritiro spirituale, una preghiera collettiva, al quale partecipano molti e diversi personaggi, provenienti da tutta l’Europa: tedeschi, ebrei, rabbini, due suore cattoliche, preti, un buddista, un ex monaco, un vecchio pittore sopravvissuto, un uomo che sembra fuori di testa, Earwig, aggressivo e violento. Lo stesso Olin crede che si tratterrà poco, giusto per una breve ricognizione ad un luogo che conosce solo dalle testimonianze che ha letto, ma che invece lo condurrà a fare una discesa profonda all’interno di se stesso, della propria anima, del proprio oscuro passato di ebreo polacco, identità sempre rimossa e volontariamente misconosciuta. Il punto di svolta per il disinvolto e spocchioso docente americano sarà l’avvicinamento alla novizia suor Catherine, una giovane donna che ha scelto il velo ma che cova dentro di sé un profondo senso di ribellione nei confronti dell’ottusità del Vaticano, che relega le suore ad una funzione subalterna nell’ambito della gerarchia, una polemica che l’ha portata al rischio di allontanamento dal convento e dall’Ordine che ha scelto di servire. Fra l’adulto Clements, un tempo barone Olinski, e la novizia si instaura un rapporto sempre più intenso che rischia di far deragliare la vita di entrambi. Ma c’è molto altro nel libro durissimo che Peter Matthiesen, scomparso nel 2014, ha dedicato ad un tema, quello dei sopravvissuti alla tragedia di Auschwitz, che ha condotto al suicidio Primo Levi molti anni dopo la liberazione dal lager, e il giovane scrittore Borowski, autore di un’ambigua raccolta intitolata “Da questa parte, per il gas”, sulle cui pagine Olin si era cimentato per cercare di comprendere le ragioni di chi comunque in quell’inferno era riuscito a sopravvivere, non si sa a che prezzi.
C’è molta violenza, forte ostilità e dissenso profondo fra i partecipanti al cosiddetto ritiro spirituale, prova di come la vicenda legata ai campi di sterminio continui ancora oggi ad essere oggetto di divisione, di polemica, di razzismo, di incredulità.
Olin uscirà da quell’esperienza totalmente diverso, soprattutto in seguito ad una strana danza che guidata del rabbino Dan ha visto tutti i presenti unirsi al canto dolcissimo stando in cerchio, tenendosi per mano:
“Lentamente all’inizio, continuando a salmodiare e a tenersi per mano, il cantore e gli altri risalgono un corridoio, e trovano pace trovando l’interezza…..”
Il libro è preceduto da tre strofe della poetessa Anna Achmatova, versi scritti nel 1921, che si concludono con parole che sono la vera epigrafe a questo libro-testimonianza così intenso e pieno di spunti di riflessione che possiamo fare nostri, in ogni tempo della storia:
“E il miracolo arriva così vicino
alle sporche macerie delle case:
qualcosa che nessuno mai può comprendere
ma che resterà vivo nei nostri cuori per secoli.”