Il romanzo dell’iraniana Fariba Hachtroudi, bellissimo e straziante, si presenta come una storia a specchio: da un lato c’è una donna, Vima, vittima di un aberrante regime religioso, che con fermezza eroica giace sepolta nell’infernale prigione di Devine; dall’altro un uomo, il colonnello Ala, che da giovane si era distinto sul fronte di guerra, mentre adesso è entrato suo malgrado a far parte della cerchia ristretta del Comandante Supremo e si occupa per l’appunto di riorganizzazione delle carceri. Secondo i deliranti criteri del peggior totalitarismo su base teologica.
Da sponde opposte, antitetiche, i due si ritrovano accomunati da un paradossale destino comune. A tenerli in vita, infatti, è rimasta un’unica cosa: il tentativo disperato di essere fedeli fino in fondo al loro amore.
La donna non sa che cosa sia toccato in sorte all’adorato marito, anch’egli oppositore del regime, ma non una parola è mai uscita dalla sua bocca, pur avendo patito le più orrende sevizie e violenze. Quanto al colonnello, non è un sadico, un torturatore. È un soldato progressivamente risucchiato nell’infida tela del regime, coinvolto in ruoli aberranti e di assoluto rilievo.
Sarà l’amata moglie, una scienziata che porta lo stesso nome della prigioniera, Vima, a porgli l’aut aut definitivo: per uscire da questo gorgo mostruoso, hai un’unica possibilità di riscatto, gli dice. Devi andartene dal Paese, ma prima devi salvare la vita di quella donna ridotta a un semplice numero, «la 445».
Le cose andranno effettivamente così e ci penserà poi il destino a mettere nuovamente di fronte i due personaggi principali, che si ritrovano in un non meglio precisato paese occidentale dove lei svolge il ruolo di interprete e lui attende con poca o punta speranza l’accoglimento della richiesta d’asilo.
In un crescendo drammatico di grande intensità, con il trascorrere delle pagine Hachtroudi moltiplica il gioco degli specchi, trasformandolo infine in un incubo senza via d’uscita. Perché in un mondo fondato sulla menzogna e sul terrore, nulla e nessuno riesce a salvarsi. Neppure il paese occidentale che ha accolto i due profughi sembra estraneo a tale peste morale, visto che finirà per strumentalizzare entrambi senza scrupolo, con esiti penosi.
Per Vima e Ala resta un solo punto fermo, la parola data all’amato e all’amata: è quella l’unica luce da seguire, il bene verso cui tendere, la ragione di vita a cui rimanere fedeli. Ma quando tutto è stato lordato alla radice, anche quel sentimento luminoso risulta marchiato a fuoco da un ineluttabile lato d’ombra, e si rivela decisivo l’incontro finale con il cuore di tenebra.
- Fariba Hachtroudi, L’uomo che schioccava le dita, e/o, 16 euro
PASSO RIVELATORE
Nelle condizioni estreme del carcere di Devine, anche il più infimo dettaglio può risultare decisivo. I prigionieri più scaltri sanno come allentare le benda durante gli interrogatori per captare un particolare che aiuti a orientarsi. Vilma non può vedere in faccia l’uomo che le salverà la vita giusto in punto di morte, ma le resta impressa «quella camminata da anatra zoppa, col piede destro rivolto verso l’interno». E quando finalmente lo incontrerà a volto scoperto, da quella lo riconoscerà. «Dimmi come cammini e ti dirò chi sei», aveva sempre pensato Vilma negli anni dell’inferno. F.M.