Napoli – Eduardo Savarese è un magistrato napoletano ed un talentuoso scrittore. L’autore di “Non passare per il sangue”, a pochi mesi dall’uscita della sua ultima fatica letteraria “Le inutili vergogne”, pubblicata da e/o edizioni, con la sua sincera gentilezza apre una piccola finestra sul suo universo interiore, ricco di sfumature profonde e di autentica umanità.
Innanzitutto come è nata l’idea di scrivere un romanzo come “Le inutili vergogne”?
L’idea del romanzo nasce dall’interesse, dalla necessità di parlare di un personaggio di 50 anni, non della mia età, in cui proiettare delle zone che sono un po’ grigie, un po’ oscure, poco rassicuranti, poco belle anche. Come ho detto anche in altre occasioni, Benedetto, il protagonista, è quello che io ho paura di diventare o che sarei potuto diventare, se la vita non mi avesse insegnato altro. Ed è un personaggio di cui mi interessava rappresentare un’apparente vita rassicurante per estrazione sociale, per formazione culturale, e di cui se ne parla bene, perché fa volontariato, ma che poi nasconde profonde lacerazioni. Ha una grande paura di amare, che lo porta a voler rinunciare all’amore. Volevo rappresentare l’esplosione a un certo punto di questo personaggio, che, via via che costruivo il romanzo, ho messo sotto assedio da più lati, fin quando deve rendere il suo conto. Poi scrivendo e riscrivendo, perché questo romanzo ha avuto varie riscritture, emerge il personaggio del transessuale, che un po’ fa da angelo custode del protagonista. E sempre lavorandoci, è emerso l’interesse per la religione, la riflessione sul peccato e sul rapporto tra corpo e peccato.
Quando sono inutili le vergogne?
Le vergogne sono inutili quando nascono da una compressione della nostra libertà. Questa compressione è indebita, perché in realtà nasce dalle aspettative che ci vengono scaricate addosso dalle comunità: quella familiare, religiosa e istituzionale. Queste aspettative noi non le rispettiamo a volte e questo genera frustrazione e profonda vergogna. Questa serie di vergogne sono inutili e fonte di infelicità.
Benedetto, il protagonista del tuo romanzo, è un personaggio complesso, lacerato dal conflitto tra desiderio sessuale e peccato. Nella costruzione del personaggio sono rintracciabili elementi autobiografici?
Sicuramente la fatica di mettere insieme la spiritualità e la carnalità è una cosa che io sento molto nella mia esperienza di vita. In questo e limitatamente a questo è autobiografico. Ma più che altro sono interessi che mi appartengono più che un’autobiografia in senso stretto. Nel mio primo romanzo ci sono più elementi autobiografici, qui direi che mi sono liberato di certe paure, di certe tensioni e soprattutto di questo dissidio apparente tra il corpo e lo spirito.
Benedetto, nonostante la sua palese infelicità, sembra essere una persona appagata e rassicurata. Come arriva la sua salvezza?
Dagli altri. Questo è un romanzo in cui ho voluto rappresentare un’idea che per me è religiosa, nel senso che è rintracciabile nelle Sacre Scritture, soprattutto dell’Antico Testamento, ma è rintracciabile nella vita di tutti i giorni se ci stiamo attenti. Cioè, noi , a volte, ci attorcigliamo intorno a noi stessi e solo gli altri ci possono salvare e spesso non ce ne accorgiamo. Infatti, qui lui è un po’ violentato quasi da chi gli vuole bene. Pur di fargli vedere la realtà e di fargli rielaborare il passato. Quindi viene salvato soprattutto da un sacerdote, Padre Vittorio, dalla nipote più piccola, che è quella che gli dice le cose come stanno, da Nunziatina, che è il transessuale. Diciamo che viene salvato da coloro che sono più puri di cuore e sono apparentemente dei falliti totali.
Nel romanzo emerge il fascino della liturgia, dei simboli che si innestano sul proprio vissuto e che costruiscono la memoria dell’individuo. Quale peso ha nella tua vita questa particolare forma di liturgia?
Io ho capito da poco la bellezza della liturgia, nel senso che è un momento che io vivo con grande unitarietà ci corpo e di anima. È un momento di grande equilibrio, anche a livello di sensazione corporea. E questo mi ha portato ad approfondire i simboli della liturgia e a studiare un po’, perché questo è un campo sterminato, la dottrina del sacrificio nell’antico Induismo, che è tutto rituale. Mi ha affascinato anche la presenza forte di simboli della nostra tradizione culturale, soprattutto pittorica, per cui nel romanzo c’è un elemento mistico tipico che è lo specchio. C’è anche la pittura e soprattutto un dipinto di Lorenzo Lotto che è ricordato e che è particolarmente simbolico. Quindi è una parte dell’esistenza e della cultura che mi affascina e su cui continuo a lavorare anche per i prossimi romanzi. Anche la matematica e la scienza sono un mondo di simboli che ti aiutano ad interpretare e a dare un senso all’esistenza. Secondo me è molto importante. Poi io ho radici greche-ortodosse e nel mondo ortodosso c’è un’esaltazione del rito per cui dura moltissimo. Noi non siamo assolutamente più pronti a sorreggere la durata di quei riti, che però sono profondamente belli: l’incenso è bellezza, l’icona è bellezza, le luci di un certo tipo sono bellezza. È un momento di grande bellezza!
La religione ha un peso consistente nella vita dei personaggi del tuo romanzo. Qual è il tuo rapporto con Dio?
Buono. È un rapporto che cresce con il passare dei giorni e cresce in libertà. Penso sia questo il vero rapporto con Dio. Esige libertà.
Da bambino cosa sognavi di diventare da grande?
Insegnante.
Quindi né magistrato né scrittore.
No. Mi è sempre piaciuta ed anche ora mi piace l’idea di comunicare ed insegnare .
Cosa significa per te essere scrittore?
Per me la scrittura è una forma di comunione. Quindi qui uso una categoria assolutamente religiosa. È uno spezzare il corpo per gli altri, altrimenti non ha molto senso. Questo può avere difetti narrativi e incongruenze anche filosofiche, però è molto importante per me dargli un senso di condivisione profonda. E questa è una cosa che mi sta ritornando dai lettori. Cioè, i lettori trovano molto autentico quello che io scrivo al di là dell’identificazione e del condividere o no certe cose o dell’avere degli interessi. Ho molti lettori che non sono assolutamente cattolici né omosessuali, eppure si respira un grado notevole di autenticità. Questo per me è molto importante.
Stai già lavorando ad un nuovo romanzo?
Si. C’è un protagonista che è un ventenne malato di distrofia. Io lavoro con i disabili e quindi mi sento di dover parlare di questa realtà, del corpo malato, del limite, delle possibilità che ci sono nonostante i limiti. Poi sono molto attratto da tutta un’altra forma di simboli, che, come ti dicevo prima, sono quelli scientifici, soprattutto della fisica quantistica. Quindi un altro personaggio sarà un professore universitario di fisica quantistica. Mi piacerebbe trovare un modo per raccontare la struttura profonda delle cose. Però è in una fase ancora molto iniziale.
Qual è il tuo scrittore preferito e c’è un tuo scrittore di riferimento in cui hai trovato ispirazione?
Non posso dire di avere uno scrittore preferito. Sicuramente la mia letteratura di riferimento è quella russa: Tolstoj, Dostoevskij, Čechov. Ultimamente con Napoli Teatro Festival, mi sono reso conto che sono dei testi quasi sacri, perché sono veri.
Vogliamo chiudere dando un tuo motivo per acquistare le inutili vergogne?
È scritto molto bene.
Un saluto da scrittore.
Che ciascun lettore possa scrivere un giorno o l’altro una bella pagina di se stessi.