Le Vergogne (poco utili) di un gay tra fede e società
Autore: Diego Zandel
Testata: La Gazzetta del Mezzogiorno
Data: 8 giugno 2014
Sesso, fede, liberazione sono gli elementi intorno ai quali nasce e si sviluppa l’ultimo romanzo di Eduardo Savarese “Le inutili vergogne”, edito da e/o per Sabot/age, la collana diretta da Colomba Rossi e curata da Massimo Carlotto, che ormai ha superato la boa di una dozzina di titoli, tutti molto interessanti. L’intento della collana è quello di affrontare temi che l’attualità rimuove o deliberatamente sfugge, perché non se ne parli. Sembrerebbe pertanto puntata più sui contenuti. In realtà, romanzi come questo di Savarese, rivelano che la scrittura non è secondaria, tutt’altro: “Le inutili vergogne” è scritto benissimo, pagine di intenso ardore, e dolore, sul filo di una straordinaria padronanza della lingua, ben modulata, elegante, anche là dove una descrizione cruda, in particolare di carattere sessuale, si rende necessaria al disegno complessivo della storia. Che è la storia, ambientata in una Napoli in chiaro scuro, di un omosessuale, che nasconde al mondo quello più prossimo, compresi i famigliari che vagamente la sospettano, la sua condizione.
E’ la storia di Benedetto De Notaris, un ginecologo cinquantenne, che esercita la professione in un centro di assistenza sociale religioso, guidato da un prete, padre Vittorio, di grande spessore umano: un po’ il contraltare cristiano, lontanissimo dalle preoccupazioni di potere della curia, che infatti, alla fine – alla fine di un percorso che ha le sue ragioni nella complessa storia del romanzo - lo rimuoverà dal suo incarico. Solo padre Vittorio sa infatti che Benedetto è omosessuale, ed è anche al corrente, con risvolti che saranno chiari solo alla fine e che non riveliamo, di un grande amore perduto di Benedetto, un giovane, Gaetano, conosciuto dieci anni prima nel corso di un pellegrinaggio a Santiago di Compostela.
Ora Benedetto vive di amori clandestini, maschi sconosciuti, contattati via chat, che fa entrare di notte in casa – una grande villa che divide con la famiglia di trascorse origini borghesi – e con i quali si accoppia, facendo uso di rossetti per labbra, nello spirito di una Barbie, la famosa bambolina di cui Benedetto ha una collezione storica. Barbie, con i suoi tanti vestiti e acconciature, rappresenta un po’ il travestitismo a cui la sua omosessualità lo spingerebbe se “inutili vergogne” non lo trattenessero dal liberarsi delle catene morali che lo imprigionano e che, pubblicamente, lo rendono altro da quello che realmente è. Eppure il suo essere omosessuale non si tace mai dentro di lui, lo ritrova nel ricordo di Gaetano e quando a chiedere una visita ginecologica è un trans, Nunziativa, che darà vita a un personaggio di estrema vivezza e umanità, e lo ritrova nel corpo concupito dell’ambiguo JeanAndrè, il fidanzato della nipote, che gli chiederà di essere testimone di nozze. Gli elementi della fede, le ipoteche religiose, hanno anche la loro funzione, nonostante l’apertura di padre Vittorio. Emergono soprattutto da un diario che una zia, Gilda, sorella della madre, gli ha segretamente lasciato in eredità. La storia di un tradimento coniugale ma anche del vero e unico amore della sua vita avvenuto negli anni della seconda guerra mondiale, espiato fino alla sua morte, oltre trent’anni dopo. Un diario, il suo, a cui il pensiero della fede e la forza dell’amore allevia, se non addirittura cancella, il senso del peccato che un tradimento, così come il sesso, si porta dietro. Non a caso la lettura del diario della zia scorrerà parallelo alle vicende di Benedetto, il quale, grazie soprattutto alla presenza salvifica di Nunziatina, troverà il coraggio di dare scacco alla sua inerte ipocrisia con un gesto estremamente provocante e liberatorio.