Bertrand Beaulieu è un casuista. Un po’ a fatica e molto con l’aiuto delle references ricostruiamo che i casuisti o casisti hanno raggiunto la loro massima popolarità nel Seicento, quando furono attaccati da Pascal nelle Lettres provinciales. Insomma, il “nostro” casuista, dottissimo e raffinato teologo, mite e forse un po’ depresso, riceve da tempo per posta le lunghe lettere di uno strano personaggio, ex prete ridotto allo stato laicale, tutte dedicate alla prova dell’esistenza di Dio. Una decina ne ha già ricevute, scritte con una grafia impossibile: “Dieci dimostrazioni diverse, un giorno con un approccio logico, tre mesi dopo basandosi sulla chimica, una volta in modo semantico, un’altra per assurdo...”. Quest’ultima contiene la prova. Emozione, gioia, sconcerto. Soprattutto sconcerto, che cresce tanto più quanto la notizia viene confidata, seguendo rigorosamente la duplice gerarchia ecclesiastica e statale, ad altolocati personaggi. Perché è chiaro (è chiaro?) l’impatto rivoluzionario della notizia, qualora la si divulghi senza filtri e cautele: nessuno lavorerebbe più, tutti si dedicherebbero alla preghiera e alla meditazione, la chiesa perderebbe funzione e valore. Alla fine, la scelta è quella di tacere, di sopire, di occultare. Come si conclude il romanzo? Con un suicidio, quello di Mauduit (cognome non a caso molto vicino a maudit, “maledetto”), l’estensore della prova, qualche dimissione dalla Compagnia dei Casuisti, alcune scomparse, il ritiro dalla politica del primo ministro a favore di una vita ascetica. Raccontare la fine di un thriller si dice che sia una vera vigliaccata. Ma il problema è questo: La prova nascosta non è un thriller, e soprattutto non è “un thriller... dalla suspense mozzafiato” come riportato in copertina. È piuttosto un romanzo intelligente, pieno di bei personaggi (delizioso quello di Hervé, l’amico e collega di Bertrand Beaulieu, grosso e goffo teologo vestito di “un inverosimile maglione a collo alto a righe orizzontali verdi e rosse, chiaramente fatto a mano”). Un romanzo che proietta all’indietro nella storia, in quel clima di scetticismo ironico molto francese che ha in Anatole France il più celebre (anche se oggi colpevolmente dimenticato) esponente.