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Corsica o Algeria: la famiglia di Ferrari non si arrende alla caduta degli imperi

Autore: Franco Cordelli
Testata: La Lettura / Corriere dela Sera
Data: 8 dicembre 2013

Jérôme Ferrari è nato a Parigi nel 1968, ma i suoi genitori sono còrsi e la Corsica è al centro della sua ossessione. Lo è più nel tema che nel fatto: quando Ferrari arriva alla Corsica d'oggi è come se allentasse la corda del suo arco, viceversa teso allo spasimo quando risale indietro nel tempo, quando non ha preoccupazioni di realismo mimetico, ovvero di restituzione di Dove ho lasciato l'anima del 2010 è una rievocazione della guerra d'Algeria, anzi delle torture che vi si operarono, della loro morale; ed è il più lancinante ed eloquente dei tre. Ne sono protagonisti il tenente Horace Andreani, al quale è affidato il giudizio, e il capitano André Degorce. Sono ufficiali dell'esercito francese chiamato a fronteggiare la rivolta: l'inizio della caduta (dell'Impero). Degorce era stato un combattente nella guerra di Liberazione dai tedeschi e aveva servito nel suo esercito in Indocina. Aveva già conosciuto vittoria e sconfitta. Ma solo la sconfitta aveva forgiato la sua virtù, nella sconfitta era compresa la detenzione di quasi un anno a Buchenwald. Noi però lo incontriamo, sia nel racconto di Horace Andreani sia nel suo stesso pensiero, benché disarticolato, in un momento difficile: non ha più, ammesso che l'avesse mai avuta, la nettezza di decisione e d'azione che sarebbero state degne di un ufficiale destinato a ritardare la fine di un mondo. Di fronte al prigioniero Tohar, uno dei capi della rivolta algerina, André Degorce è colto quasi alla sprovvista da un senso di rispetto, da un indugio. Ma secondo Andreani «la lealtà è l'unica virtù». Anzi, per essere precisi, al fine di ottenere informazioni in guerra, di fronte al nemico la pietà è proibita. Non è forse un'incrinatura di questo tipo a dividere il tenente dal suo capitano? Non è il suo desiderio di parlare con Tahor in cella a far dubitare il vecchio amico, colui che l'aveva ammirato a Hanoi, quando gli raccontava dei giorni nella Resistenza? «Mentre li spingevamo nella fossa, l'uno dopo l'altro, mi ripetevi, capitano, che quello era l'uomo nudo e che la sua debolezza era tale da non meritare il nostro odio». Tutto il discorso di Ferrari (il suo sermone, che nell'idea di sermone si riallaccia a quelli di Agostino) è tramato di possenti ossimori, di sentenze definitive, di aggettivi altisonanti: possiamo incontrare l'aggettivo «infinito», senza che disturbi, più spesso che in qualunque altra narrazione, dove ci infastidirebbe già la prima volta. In realtà l'idea di un'«estrema purezza» (per esempio della violenza) è più dei personaggi che dell'autore. Pure, la sua retorica attraversa invariata i tre romanzi, tranne nell'ultima parte del terzo—qui tuttavia non mancherà un assassinio che avrebbe potuto non esserci, beninteso non ci fossimo trovati in Corsica. In Balco Atlantico, dove a dispetto del titolo c'è più Corsica dove non vi sono più che «arabi e sardi», dove meglio risuona l'aspra «sonorità della lingua còrsa», — si comincia con la politica, con un movimento indipendentista, è in esso che si forgiano le amicizie e si finisce con le vendette. Ma che cosa più le determina: essere venuti meno a un patto benché perdente o scellerato, o l'aver tradito in amore? O l'amore in sé, addirittura la gelosia?un'immagine che nella Corsica attuale è simile a quella di qualunque paese della Francia. Balco Atlantico, del 2008, è costruito per blocchi narrativi disposti a ritroso nel tempo. Si parte dal 2000 e si risale al 1985, con un ritorno finale all'anno d'inizio. Ma ciascuno dei sei capitoli è intervallato da un lacerto non datato: essi in apparenza escono dalla corrente principale del racconto, perché riguardano (alla lettera) un altro mondo: Hayet e il fratello Khaled passeggiano lungo il Balco Atlantico, solo più tardi dal Marocco arriveranno in Corsica. Il rapporto tra Marocco e Algeria—dove (nel Sermone sulla caduta di Roma del
2012) la giovane Aurélie diventerà archeologa nell'Ippona di Agostino — e Corsica, o Francia, è uno dei temi dominanti o, nella realtà empirica, il tema cruciale: «Mori e negri libereranno la Corsica, cioè l'Impero» (qui siamo negli anni della guerra, del maresciallo Philippe Pétain) e poi lo distruggeranno. La famiglia Antonetti, dal nonno Marcel al nipote Mathieu, è il fulcro dei tre romanzi di Ferrari tradotti in Italia.

Ecco che ci ritroviamo a distanza di centocinquant'anni in Merimée. Si può traboccare di Borges o di Paul Celan (citato dall'autore), si può essere nati dopo la cosiddetta modernità avendone piena coscienza, ma se si è in Corsica si è sempre in Merimée, vale a dire più in un mondo che in una persona, in uno stile. Lo stile è quello del mondo, di quel mondo. È lo stile della vendetta e dell'onore, dell'amore e della gelosia. Del resto Ferrari segue con una certa persistenza un'altra idea, quella di una remota intimità tra mondo e persona e quella della loro scissione. Non è proprio la separazione dell'una dall'altro l'essenza della «caduta» di un Impero? Nel Sermone i due amici Mathieu Antonetti e Libero Pintus (un figlio della selvaggia, invivibile Barbagia), prima vanno a Parigi ed entrano nella Sorbona convinti di trovarvi gli antichi dèi e ben presto pensano che quelli non ci sono più, sono fuggiti via. Così, anche loro fuggono, tornano a casa, addirittura aprono un bar, si aprono alla modernità, ai turisti, al consumo. Accettano di diventare demiurghi — piccoli demiurghi di paese. Non solo. Mathieu, che a Parigi aveva incontrato Judith e se ne era spaventato, almeno dentro di sé la ritrova, e la richiama: cede prima a una debolezza, poi a un'altra. È come Virginie, che da bambina s'era innamorata di Stéphane (in Balco Atlantico), l'aveva aspettato per anni, e quando l'aveva avuto e poi perso — ucciso come ultimo anello d'una catena di vendette — s'era data senza amore alcuno a Vincent e poi a tanti altri (così verso la fine, nel I). C'è solo il sardo, un paradosso geografico, non più linguistico, a ricordare il tema di fondo, la feroce dichiarazione di guerra di Ferrari: mai arrendersi alla caduta degli imperi, mai confondere gentilezza e debolezza.