Nella "Giostra del piacere" siamo tutti un po' come DSK, dice Eric-Emmanuel Schmitt
Autore: Antonio Gurrado
Testata: Il Foglio
Data: 25 novembre 2013
Lo scrittore e drammaturgo francese Eric-Emmanuel Schmitt ha un cruccio: voleva scrivere un romanzo filosofico ma il battage che ha accompagnato in Francia e in Italia "La giostra del piacere" (Edizioni e/o) lo ha trasformato in un romanzo erotico. "Eppure non lo è", spiega Schmitt al Foglio: "È piuttosto un libro sull'erotismo, in cui rappresento tutte le maniere di amare con afflato enciclopedico e senza sguardo moralizzatore. Esamino le diversità con tolleranza e benevolenza". Il lettore forse si stupisce che tolleranza e benevolenza siano riservate anche al personaggio che può risultare istintivamente più odioso: un potente politico belga sessodipendente che, dopo uno stupro, cade in rovina proprio quando è arrivato a un passo dalla presidenza del Consiglio. "Molti giornalisti mi hanno chiesto se si tratti di un alter ego di Domique Strauss-Kahn, senza pensare che esempi simili abbondano. A cominciare da Chirac, il quale era significativamente soprannominato 'mitraglietta'. Il fatto è che un romanzo sul sesso deve contemplare tra i personaggi un politico", spiega Schmitt, "perché il politico è un animale erotico a parte".
Nel senso che il ruolo pubblico comporta un più severo vaglio morale degli atti privati? Schmitt non è del tutto d'accordo: "Il politico ha una sessualità decompressiva, che serve a provare sollievo dalla pressione che lo circonda. È come la morfina, ed è inevitabile che il partner non sia considerato una persona ma un moccichino da gettare via dopo l'uso. Ciò non toglie che un politico possa essere sincero e generoso nell'attività pubblica ed egoista nell'attività sessuale". Quando un politico cade per storie di letto, gli elettori provano un brivido di piacere perché si sentono superiori a un potente; nella "Giostra del piacere", questa caduta viene però vissuta con pena e dispiacere da un personaggio dalla sessualità limpida e ingenua, il quale a un certo punto dice "Ho pensato che poteva succedere anche a me". Quando i moralisti gli chiedono come sia possibile quel sua compassione (se è innocente non proverebbe mai una cosa del genere; o ha forse qualcosa da nascondere?), il personaggio risponde che "non tutti hanno qualcosa da nascondere, ma tutti hanno qualcosa da perdere". La compassione per chi cade, spiega Schmitt, è dettata da questa comunanza: "Nessun giornalista mi chiede mai di parlare della difficoltà di essere una brava persona", e il moralismo ignora la consapevolezza che "dentro ciascuno di noi c'è un abisso in cui possiamo sparire e ciascuno di noi sta sempre per caderci dentro. Non si considera che anche chi si comporta bene può diventare un criminale nel giro di pochi secondi. Gli uomini sono legati, più che dal desiderio sessuale, dalla fraternità dell'abisso".
Viviamo in un'epoca in cui la sessualità è pervasiva non solo quanto a esposizione pornografica ma soprattutto in termini di identità collettiva; Schmitt non apprezza che "oggi tutti ci sentiamo in dovere di essere 'sessuali', di dover essere performanti a letto come sul lavoro, di dover godere e godere bene. Ciò ha trasformato la castità da sacrificio e dono di sé a mera patologia". L'errore più grave sta nell'appiattire l'uomo sulla sua identità di genere, che si tratti di associazionismo femminista oppure omosessuale: "Affiggere un'etichetta sessuale significa nascondere la verità", conclude Schmitt. "La vita è sempre più complicata delle etichette. L'uomo tende a rivelarsi una farfalla che vuole essere fiore, radicarsi al suolo anziché volare; che si definisce solo per mezzo dell'identità sessuale non accetta non essere complesso".