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Schmitt: "Siamo schiavi delle pulsioni in cerca d'amore"

Autore: Fabio Gambaro
Testata: La Repubblica
Data: 15 novembre 2013

Questo messaggio solo per dirti che ti amo. Firmato: tu sai chi». Recita proprio così la sibillina lettera d'amore ricevuta contemporaneamente dai numerosi personaggi che popolano il nuovo vasto romanzo di Eric-Emmanuel Schmitt, La giostra del piacere in uscita per e/o (trad. di Alberto Bracci Testasecca). Un'opera sorprendente, ricca di avventure e disavventure erotico-sentimentali che s'intrecciano e si rincorrono in una continua sarabanda di desideri, amplessi e sentimenti amorosi. Lo scrittore francese già autore di una trentina di opere — tra romanzi, saggi, raccolte di racconti e opere teatrali — vi evoca l'universo multiforme dell'eros, seguendo le peripezie di un folto gruppo d'individui, diversi tra loro per età, sesso, professione e preferenze sessuali, ma tutti alle prese con l'anonima dichiarazione d'amore che inevitabilmente scatena in loro sogni e fantasie, ma anche equivoci e incomprensioni. Il tutto in nome di un edonismo diffuso che però è costretto a scontrarsi con le ipocrisie e i conformismi della società. «Volevo scrivere una specie di romanzo enciclopedico sulla varietà delle relazioni amorose», spiega Schmitt, il cui libro in Francia è in classifica da undici settimane. «In amore, facciamo tutti gli stessi gesti, ma attribuendo loro ogni volta un significato diverso. Ogni pelle che tocca un'altra pelle ha una storia particolare e unica. Le forme dell'amore sono infinite, e non esiste una forma canonica da privilegiare rispetto alle altre».

I molti protagonisti del romanzo abitano tutti attorno a una famosa piazza di Bruxelles, dove tra gli alberi vivono moltissimi pappagalli. Perché questa ambientazione?

«In quella piazza, chiudendo gli occhi si ha l'impressione di essere in una giungla nel bel mezzo della civiltà. Mi è sembrata una bella metafora della nostra condizione di uomini dominati dalle pulsioni, ma prigionieri di corpi che sono sociali e razionali. Insomma, la nostra parte di natura fatta di desideri e pulsioni è spesso sepolta da strati di civiltà sociale, politica, culturale e ideologica».

È per questo che nella Giostra del piacere i sentimenti dell'amore si scontrano spesso con le complicazioni del sesso e del desiderio?

«Le relazioni tra amore e erotismo sono di moltissimi tipi. Spesso la sessualità è un modo per arrivare all'amore, nel senso che una relazione iniziata nel nome del desiderio erotico può in seguito trasformarsi in sentimento amoroso. Altre volte invece la sessualità impedisce all'amore di nascere. Naturalmente esistono anche gli amori senza sessualità. A me interessava mostrare questi diversi aspetti e spazi dell'eros sullo sfondo di una società dominata dall'ossessione del piacere sessuale a tutti i costi».

Nello stesso tempo però assistiamo anche al ritorno di un certo moralismo…

«Che personalmente combatto. Per me, infatti, tutto quello che riguarda la sessualità non deve dipendere dalla morale. Da questo punto di vista, continuo ad essere un discepolo di Diderot. La sessualità è fonte di piacere e un modo per sviluppare armoniosamente la propria personalità. Di conseguenza, nel romanzo c'è una forma di benevolenza nei confronti di tutte le manifestazioni dell'eros. E dico "benevolenza" perché preferisco questo termine alla parola "tolleranza"».

Perché?

«La tolleranza implica l'idea di uno sforzo, mentre la benevolenza mi sembra una virtù. La tolleranza è lo sforzo che ci permette di arrivare alla virtù della benevolenza».

Indagando la varietà delle forme dell'eros, quello che le interessa è la difesa di una certa forma di edonismo?

«Certamente. Occorre approfittare della vita, dell'amore e del sesso senza preoccuparsi del giudizio degli altri. La mia è un'apologia del piacere che rifiuta di giudicare moralmente e di discriminare le diverse forme di piacere sessuale. Contemporaneamente però cerco anche di riflettere sulla dialettica tra libertà e destino. La sessualità infatti assomiglia al destino, giacché un desiderio è sempre subito. Non scegliamo un desiderio, lo proviamo e basta. Il desiderio non dipende dalla volontà o da una scelta. Nel romanzo, mi domando quale sia il nostro spazio di libertà rispetto a questo destino».

Che risposta s'è dato?

«La sola libertà possibile è quella che nasce dalla coscienza di tale destino e dalla sua accettazione. Alcuni personaggi del romanzo finiscono per scoprire quello che desiderano e si realizzano accettando di essere quello che sono. Altri invece distruggono la loro vita proprio perché non hanno la lucidità di ammettere quello che sono. Così facendo provocano sofferenze a se stessi e agli altri».

L'erotismo ha bisogno di fantasia e di fantasmi. È questo il significato delle anonime lettere d'amore al centro del romanzo?

«Effettivamente l'amore è il territorio dei fantasmi e dei sogni. Un territorio che ognuno crea in funzione di quello che è, di quello che ha vissuto, di ciò che gli manca e di ciò che desidera. Secondo me, le lettere d'amore dovrebbero essere sempre anonime, perché il vero amore è fatto di generosità disinteressata, mentre chi firma una lettera d'amore si attende sempre qualcosa in cambio. Il vero amore è un dono di sé all'altro senza condizioni, motivo per cui è quasi sempre impossibile. La sessualità invece è fondata sullo scambio, non è mai disinteressata. Per questo amore e sessualità convivono così difficilmente. Forse il solo vero amore è quello asessuato che si prova per i figli o i genitori. Dicendo ciò, riconosco di avere una visione idealistica dell'amore, una visione quasi evangelica. Il che non m'impedisce di riconoscere il valore positivo della sessualità».

Era la prima volta che scriveva delle scene erotiche. È stato difficile?

«È stato delicato, perché volevo evocare con precisione la realtà del sesso, ma senza scrivere delle pagine per un'antologia della letteratura erotica. Il mio non è un romanzo erotico, è un romanzo sull'erotismo, che però non arretra di fronte a nulla. Non a caso, evoco tutte le forme dell'erotismo, dagli amori eterosessuali a quelli omosessuali, dallo scambismo alle relazioni sadomaso, e via dicendo. Volevo parlare di tutto, con una scrittura suggestiva, ma restando pudico».

Non c'è il rischio di trasformare il lettore in un testimone un po' voyeur?

«Uno scrittore è un bambino che cammina per le strade cercando di immaginare quello che succede dietro le finestre. È nata così la mia vocazione di scrittore. Questa forma di voyeurismo è magnifica perché fa appello all'immaginazione. Io non mostro, preferisco suggerire, lasciando che sia il lettore a completare la scena con la sua immaginazione. In questo modo, egli diventa un voyeur attivo e fantasioso che partecipa alla costruzione del libro. Immagina molto di più di quello che vede, proiettando sulla scena i propri sogni e i propri fantasmi. È questo il lato meraviglioso della letteratura».