Salvare Mozart di Raphaël Jerusalmy
Autore: Marilia Piccone
Testata: Wuz
Data: 19 settembre 2013
Salisburgo, estate del 1939. Otto Steiner, melomane e critico musicale, è ricoverato in un sanatorio. Questo è il diario del suo ultimo anno di vita. 1939-1940: è anche l’ultimo anno di un’Europa vecchia che porta già il peso di tante colpe che sembreranno lievi, però, a confronto del più grande crimine contro l’umanità di cui si macchierà da lì a poco. L’aria sottile di Salisburgo. La sua quiete. La musica che vibra nell’aria anche quando non c’è nessuno che suona. Lo spirito di Mozart, il suo figlio più famoso, che si aggira per le sue strade. Salisburgo non ha nulla a che fare con il nazismo; la musica, più di qualunque arte, non ha nulla a che fare con la politica. Eppure non è così.
Le annotazioni di Otto sul suo diario sono per lo più brevi. Sono un miscuglio di quotidianità all’interno del sanatorio (quanto odia, Otto, il merluzzo e le patate lesse del pranzo del venerdì) e di riflessioni sulla vita che ha un passo molto più veloce fuori da quelle mura. Il primo agosto è la serata inaugurale del festival. È arrivato Goebbels. Il 14 agosto fa la sua comparsa Hitler, accompagnato da Bormann e Speer. Otto è riuscito ad andare al concerto, ma è stanchissimo. È da più di un anno, dal marzo del 1938, che l’Austria è diventata parte della Germania con l’Anschluss. E la magnificenza germanica, la ridondanza wagneriana, la pomposità che si vede ovunque nella ‘nuova’ Germania con il suo Reich che intende essere millenario, sono strisciate anche nella sala del concerto, hanno incominciato a contaminare la purezza leggera della musica di Mozart. Per Otto è inaccettabile.
Avviene qualcosa di strano in Otto. È come se il fragore del mondo esterno assottigliasse il suo udito, lo rendesse più sensibile ad una parte di sé a cui non aveva mai badato. Otto è ebreo per parte di padre, non è abbastanza ebreo per gli ebrei, sufficiente per i nazisti. Sua sorella ha sposato un ebreo - che ne è stato di loro? Sono scomparse tante persone, tante case si sono liberate all’improvviso. Sul suo diario Otto registra il comportamento del medico (si era ingannato su di lui), gli spostamenti di corsia degli ammalati (chi va al secondo piano è vicino alla fine), il variare della sua salute, la nenia yiddish che viene dal letto accanto al suo. Ci sono pensieri di morte nel suo diario. Otto è stanco di vivere questa mezza vita. E se la facesse finita rubando delle medicine dall’armadietto del medico? E se, invece, cercasse di uccidere Hitler? Otto descrive un incontro a cui ha potuto assistere da vicino, tra Hitler e Mussolini: ingenuamente pensava che avrebbe avuto una possibilità di togliere di mezzo il Führer. Poi la svolta, quando già il numero dei reduci feriti in guerra ha fatto sgomberare l’intero secondo piano del sanatorio per far loro posto (e noi leggiamo tra le righe l’Aktion T4, il progetto di eutanasia nazista): la protesta di Otto Steiner riflette un’impotenza grandiosa, è una ribellione incatenata, è la vittoria della cultura e dell’intelligenza sulla crassa ignoranza e stupidità della maggior parte dei gerarchi assetati di sangue. È una protesta musicale che di certo sarà recepita da pochi, una beffa firmata Mozart e in nome di un Mozart da salvare nell’ambito del festival dell’estate del 1940.
Il colpo sferrato da un romanzo come “Salvare Mozart” è come quello di un’arma acuminata, tanto più efficace perché inatteso, come una lama che guizza fuori da un bastone o da un innocuo ombrello. Colpisce come le parole di Otto Steiner, pacate e pervase dalla tristezza eppure graffianti. Unghiate di chi usa i mezzi che ha a disposizione per attaccare e difendersi, per salvare la sua integrità.