Il sermone sulla caduta di Roma
Autore: Antonella Lattanzi
Testata: Bookdetector
Data: 27 maggio 2013
I mondi finiscono continuamente. Proprio adesso ne staranno finendo chissà quanti, infranti alcuni contro la freddezza della morte, altri contro i disastrosi finali degli amori, altri ancora senza rumore, e senza sentimento, subito surclassati da altri mondi, e altri mondi. Lo racconta con sorprendente potenza, e totale narratività, Jérôme Ferrari, professore di filosofia nato a Parigi nel ’68 e vissuto in Algeria, Corsica, Emirati Arabi. Lo racconta in questo romanzo della fine, Il sermone sulla caduta di Roma, vincendo il Premio Goncourt 2012. Lo racconta riuscendo a fermare sulla carta una sensazione, un fatto, che ci riguarda tutti: ognuno di noi ha vissuto chissà quante volte la distruzione di un mondo – bello o brutto – che si era andato creando intorno. Ma la fine di un mondo non è la fine dei mondi non è la fine del mondo. Abbandonando l’assetto cronologico, ma raccontando per quella che potrei definire “analogia di fine”, J. Ferrari riesce a impressionare sulla pagina il momento preciso in cui il mondo si sgretola; a renderlo racconto per azioni e immagini. Tutto inizia con una foto scattata nel 1918 in un paesino in Corsica. Marcel non c’è in questa foto, nel ’18 non era ancora nato. Ma c’è la sua famiglia – e lui, forse, in possibilità. Quando Marcel la guarda, tutti i protagonisti della foto sono morti. Il loro mondo è finito, e con loro è finito anche uno dei mondi di Marcel. Passando da un’infanzia di malattia all’emigrazione alla Seconda Guerra mondiale e oltre, Marcel vive infiniti mondi, e infinite distruzioni degli stessi. Decenni dopo suo nipote Matthieu decide di abbandonare gli studi di filosofia a Parigi e tornare in Corsica, dove prende in gestione un bar assieme al suo amico Libero. Dando così inizio a un nuovo mondo che, per un po’ di tempo, sembra un paradiso di sesso, amicizia, bagordi. Ma poi com’è nell’ordine del mondo – è proprio l’ordine naturale del disfarsi che Ferrari racconta – pure questo mondo s’infrange e, anche se a Matthieu sembra sia finito il mondo, non è finita che una piccolissima stagione. Epopea di una famiglia che dall’epopea familiare non si lascia intrappolare; scritto al limitare col realismo magico senza che né realismo né magia lo imprigionino, splendidamente narrativo e ferocemente lirico, Il sermone riesce a rendere protagonista il farsi e disfarsi della storia. Dal Sermone di Sant’Agostino da cui il libro prende il nome alla potentissima messa in scena di un funerale, dalla Parigi degli studenti alla Corsica dei bar, dalla violenza all’amore alla disfatta dell’amore, Il Sermone di Ferrari mescola passato e presente a volte persino scambiandoli di posto. Senza che il lettore si perda mai per strada, perché a guidarlo è una penna che non ha paura di “portargli testimonianza della fine, oltre che delle origini, perché una sola e identica è la testimonianza”.