Linizio del libro è folgorante, con un
incipit che ti inchioda istantaneamente
alla pagina. E così fino alla fine, in
un crescendo di emozioni, coinvolgimento,
partecipazione. Un romanzo di
quelli che quasi si carezzano ogni volta
che li si riapre per continuare la lettura.
Posto che li si sia chiusi invece di divorarli in un
unico respiro.
Sto per intervistarne lautrice, e glielo dico. Lei
esita, poi sorride e mi ringrazia, io aggiungo che
ogni figlia, e quindi ogni donna, dovrebbe leggerlo,
e a questo punto si imbarazza un po. È così
Alice Sebold, riservatissima. E dire che è un fenomeno
mondiale. Il suo primo romanzo, Amabili
resti, edito in Italia da edizioni e/o, ha venduto
più di due milioni di copie solo in America, un
esordio senza precedenti nella storia della narrativa
statunitense. Narrava la vicenda di Susie,
una ragazzina di quattordici anni violentata e
fatta a pezzi, che da un Paradiso molto umano
veglia sulle traversie della sua famiglia e del suo
assassino.
Ma Alice Sebold aveva già pubblicato unauto-biografia nel 1999, Lucky (che in Italia è uscita nel 2003
sempre presso e/o), in cui raccontava lo stupro subìto
quando aveva diciotto anni e il processo intentato contro
lo stupratore. Due storie molto forti, evidentemente legate
tra loro, tanto che, scrivendo il primo capitolo di Amabili
resti, Alice Sebold si è dovuta interrompere per raccontare
prima di tutto di sé, per poter finalmente liberarsi e
andare avanti. Questo accadeva nel 1995, quindici anni
dopo la violenza.
Alice ha una voce calda che pare provenga direttamente
dal centro del suo corpo. Nata nel 1963 a Philadelphia, nel
1980 si iscrive allUniversità di Syracuse dove, mentre è al
primo anno, viene picchiata brutalmente e violentata da
uno sconosciuto. Dopo qualche mese trascorso a casa, torna
a Syracuse per laurearsi. I suoi studi procedono paralleli
al decorso del processo, che vince, dopodichè si trasferisce
a New York, dove trova vari lavori per mantenersi e si dedica
alla scrittura. I suoi tentativi restano vani, attraversa
un periodo di abuso di droghe e alcol e dopo dieci anni
si trasferisce nella California
del sud, dove
lavora come custode in una colonia per artisti. Nel 1995 si
iscrive a un dottorato in scrittura creativa alla University
of California di Irvine, e proprio in quellanno inizia a
scrivere Lucky. La pubblicazione di Amabili resti le vale il
Book Award for Adult Fiction dellAmerican Booksellers
Association nel 2003 e il Bram Stoker Award nel 2002. Per
il 2008 è prevista luscita del film tratto da Amabili resti,
che sarà diretto da Peter Jackson, il regista de Il signore
degli anelli.
Oggi La quasi luna, che esce in tutto il mondo a
ottobre (in Italia il 16), raccoglie subito nella primissima
riga lessenza di tutto il romanzo: Alla
fin fine, ammazzare mia madre mi è venuto facile.
Come nei due libri precedenti, la storia decolla senza
preamboli, e la narrazione vera è tutta nei due giorni successivi
allavvenimento. In questarco di tempo facciamo
conoscenza con la famiglia di Helen e, soprattutto, con
la madre. Una donna impossibile, malata, che per uscire
di casa deve farsi avvolgere in strati e strati di coperte e
che, di fronte a un incidente che ucciderà un bimbo del
vicinato, non riuscirà a muovere un dito per correre in suo
soccorso. Un personaggio estremo, narrato con un senso
dellironia superlativo e una tenerezza arrabbiatissima e
sconfinata. Ma come le è venuto in mente un personaggio
del genere? La sua risposta, quieta e asciutta, è perfetta
nella sua franchezza: «Io penso che uccidere la propria
madre sia un desiderio che tutti, prima o poi, abbiamo provato
». Ridiamo insieme, dico scherzando che il romanzo è
la realizzazione di uninconfessabile fantasia collettiva. «È
la visitazione dellipotesi Che succederebbe se
?, una
definizione di libertà rispetto alla figura materna, che è da
sempre argomento di mille analisi. Una cosa da cui non
puoi mai separarti completamente, qualcosa che forma la
tua identità, un amore che uccide».
A ognuno il suo dolore
Un amore che in questo romanzo è deviato dalla malattia
mentale della madre, intorno alla quale ruota luniverso
del resto della famiglia. Particolarmente dolce è la figura
del marito, che si prende cura di lei. Ma anche qui scorre
una vena sotterranea, scoperta poco a poco, una specie
di distorsione che non offre mai un suono pulito ma ne
scava le pieghe più nascoste,
oscure, e le rende in tutta la
loro umanità. Chiedo allautrice
come mai gli uomini
dei suoi libri tentino sempre
di curare le proprie mogli o
figlie, ma alla fine non ci riescano
davvero mai. «Nessuno può risolvere i problemi
di qualcun altro», risponde, «cè una frase che
mi piace molto: O salvi te stesso o non ti salva nessuno.
Purtroppo le aspettative della società, delle donne, degli
uomini stessi, perfino dei libri, sono altissime nei confronti
delle figure maschili. Pare che stiamo tutti ad aspettare il
principe azzurro, ma non è così che funziona». A ognuno
il suo dolore, insomma, e la sua salvezza.
E i suoi ricordi, le sue compassioni. Sia in Amabili resti che
in La quasi luna i due padri delle protagoniste fanno un
gioco con i propri figli che si chiama Vola! e consiste
nellarrotolare il lenzuolo e poi lanciarlo per aria in modo
che, cadendo, vada a coprire il corpo dei bambini coricati
a letto: «Era un gioco che faceva sempre mio nonno
»,
spiega lei. Le chiedo allora quale ruolo hanno i ricordi
personali nella sua scrittura: «Fondamentale. La memoria
è il pozzo nel quale tutti cerchiamo le radici della nostra
identità e attraverso cui passa ogni processo creativo».
Scrivere per lei è come un dolore, aggiunge: «Quando lo
senti, vi presti attenzione. Non sono una che pianifica le
proprie produzioni letterarie, il mio è un processo organico,
unidea che diventa viva e che piano piano chiede
sempre più attenzione, fino a quando non si impone. Durante
lanno trascorso fra Amabili resti e La quasi luna, lidea
per questo libro è diventata unossessione sempre più viva
e si è trasformata nel romanzo». Una mancanza di pia-
nificazione che però non significa assenza di disciplina.
«Non ho una lista di libri da pubblicare, ma unurgenza
a scrivere e una routine di lavoro. Prediligo le ore mattutine,
scrivo con regolarità, ma tutto il resto, quello che
parte da dentro, ha una logica sua, un suo tempo, che io
posso solo assecondare». Parlando di metodo, mi torna in
mente che i suoi insegnanti di poesia e scrittura, al college,
sono stati Tess Gallagher, Raymond Carver e Tobias Wolff.
Una fortuna immensa. «Vero. E in più, incontrarli in quel
momento della mia vita mi è servito enormemente: vedere
come vivono gli scrittori che stimi è stato davvero educativo
». Le chiedo quindi come, a distanza di anni, viva il
ricordo della violenza: «Le citerei una frase se non fosse
che non mi piace fare citazioni. Ma gliela cito lo stesso
(ride): Attenzione a quel che scrivi, perché quel che scrivi
diventerà la tua memoria. Scrivere di una cosa del genere
è unarma a doppio taglio: da una parte mi sono sollevata
di un peso tremendo, lho messo fuori da me, lho reso
oggettivo. Dallaltra quel dolore è lì, visibile, concreto, nella
forma di un libro».
Lucky torna spesso la percezione di un
mondo diviso a metà: da un lato le persone che hanno
subìto una violenza, dallaltro quelle che non ne
hanno mai fatto lesperienza.
«Chi non ha vissuto una violenza
non ha idea di cosa significhi
e tende a essere diffidente
o addirittura spaventato da chi
invece la subisce. Le vittime diventano una realtà separata,
incomprensibile. È certamente meglio continuare a ignorare
che il mondo è pervaso di violenze atroci, ma spesso
non ci rendiamo conto che la violenza è molto più diffusa
di quanto non crediamo. E guarire è sempre una questione
di scelta: bisogna scegliere di tornare dentro
quella sofferenza per liberarsene».
I dieci anni che ha trascorso a New York
sono serviti in questo senso? «A New York
conducevo una vita sregolata. Vivevo di
lavoretti, non mi è mai venuto in mente di
scrivere di quello che mi è successo. Buffo
come le cose più ovvie a volte siano quelle
che realizziamo con più ritardo. Allora
facevo uso di droghe in modo distruttivo
per affogare il dolore da qualche parte. Alla
fine ho lasciato New York perché non
faceva per me. Ci sono cose di quella città
che mi mancano ancora molto, ma avevo
bisogno di altro, avevo bisogno
di lasciarla, e sono andata nel
primo posto disponibile».
E così finisce in una colonia
per artisti in California, dove fa la custode per 386 dollari
al mese e scrive in un capanno senza elettricità. Qui comincia
il vero processo di guarigione, (ma «unesperienza
come quella dello stupro ti resta dentro e sarà sempre
parte di te»), passa alla University of California, si trasferisce
a Los Angeles e, a primavera di questanno, va a
San Francisco insieme al marito, lo scrittore Glen David
Gold. Che conosce proprio a Irvine quando lui, arrivato
in ritardo a un corso, le si siede accanto e non riesce a
togliersi il casco della moto. Iniziano a chiacchierare e sei
anni dopo si sposano.
Gli scrittori e il mondo
Ora Alice Sebold ha una quieta vita di scrittura, attività cui
dedica tutto il suo tempo. Dico che è una dei pochi fortunati
che possono camparci e lei risponde che se ne rende
perfettamente conto. Una conseguenza del successo è che
le permette di non dover insegnare o trovare altri mestieri.
In quali altri modi questo successo ha trasformato la sua
vita? «Poco, in effetti», risponde. «Inoltre non sono molto
socievole, non partecipo a cene e feste tra intellettuali, la
gente mi riconosce solo occasionalmente, perché magari il
mio nome viene notato sulla carta di credito, ma è raro. Io
credo che uno scrittore ce la debba mettere davvero tutta
per essere infastidito. In realtà, gli scrittori dovrebbero
essere invisibili, per poter osservare indisturbati
il mondo intorno a loro».
Prima di salutarla, lultima curiosità: perché
proprio quel finale? Una parte di me
sperava in qualcosa di diverso, in una liberazione
definitiva. Lei risponde senza
esitazioni: «È il personaggio che decide. Il
mio desiderio può talvolta essere in conflitto
con ciò che il personaggio crea per
sé, ma non posso che obbedire e scrivere
la sua storia». Come finisce il libro va scoperto
leggendolo. Mi permetto solo di aggiungere
che Helen è una donna talmente
viva, umana, imprevedibile, simpatica e
disperata, che lamaro in bocca mi dura
un momento. Poi arriva la malinconia del
sapere che era lultima pagina.