Shoah, un silenzio devastante
Autore: Anna Maria Crispino
Testata: Società Italiana delle Letterate
Data: 1 gennaio 1970
C’è un nodo duro e dolente nella letteratura ebraica – tra gli scrittori ma particolarmente tra le scrittrici, in Israele e nella diaspora – che ha a che fare con la dimensione della memoria e dell’oblio, con la necessità del ricordo e la volontà di dimenticare. Lo mette bene in luce Stefania Lucamante, nel capitolo finale del suo Quella difficile identità. Ebraismo e rappresentazioni letterarie della Shoah (di cui è appena uscita la seconda edizione per i tipi della Iacobelli), parlando delle scritture dei figli e delle figlie dei sopravvissuti allo sterminio, spesso gravati dal peso del silenzio dei genitori, dalla loro incapacità o non volontà di raccontare l’esperienza di un dolore indicibile.
Ne parla anche Matilde Passa recensendo (Leggendaria n. 94, luglio 2012, p. 69) il romanzo di Lizzie Doron Salta, corri, canta. In realtà, il tentativo di dimenticare, sembra confermarci Lia Levi nel suo La notte dell’oblio, può avere effetti altrettanto devastanti, perché semplicemente non si può non ricordare, né tenere il dolore solo per sé. Romanzo asciutto eppure ricco di tensione, dalla scrittura serrata, perfettamente calibrato nei tempi e nelle dinamiche tra i personaggi, La notte dell’oblio aggiunge un tassello “di fantasia” – ma del tutto verosimile – alla vicenda degli ebrei romani tra le leggi razziali del 1938 e l’immediato dopoguerra, fino ai primi anni Cinquanta.
Lia Levi
Giacomo e Elsa sono una coppia di ebrei “normali”, attaccati alle tradizioni ma non particolarmente religiosi, che sfuggono alle retate rifugiandosi nella canonica di un prete molto amico del padre di Giacomo. Da quel piccolo paese laziale in cui la coppia e le loro due figlie si fingono cattolici cui le bombe hanno distrutto case e negozio, Giacomo torna di tanto in tanto a Roma per prelevare i soldi che servono al loro sostentamento, finché un giorno viene arrestato e mandato in campo di concentramento. Chi l’ha tradito? Chi l’ha ucciso? Elsa non vuole saperlo e a guerra finita cerca di tornare alla normalità inventandosi un lavoro da sarta. Non parla con le figlie, non racconta loro dei suoi sospetti, non condivide con loro il dolore della perdita di Giacomo, marito e padre che tende a preservare nel ricordo come l’uomo buono che era: non vuole che sia ricordato come una vittima. Né vuole lei stessa essere trattata da vittima. Mentre nel cerchio dei parenti e nella comunità c’è chi si entusiasma per la nascita dello Stato d’Israele, chi non riesce a perdonare gli italiani conniventi, chi progetta un trasferimento in America, le due ragazze crescono nel silenzio su quella terribile notte in cui hanno avuto la certezza che il padre era scomparso per sempre. E anche quando la verità emerge in tutta la sua insensata crudeltà – esempio quasi prosaico della banalità del Male – pare che nessuno sia davvero in grado di parlarne: non la famiglia, non la comunità, non l’Italia tutta, ancora cullata dall’illusione, o dall’ipocrita versione per lungo tempo accreditata, che le colpe siano state tutte e solo dei tedeschi e che per gli italiani l’amnistia abbia già sanato le ferite e risarcito i torti. L’oblio è durato ben più di una notte, se solo si ricorda – come Lia Levi non manca di fare in una scarna paginetta finale – che Se questo è un uomo di Primo Levi è stato pubblicato nel 1958 e che solo dal 1960, durante il processo Eichmann, vengono rese pubbliche le vere dimensioni della Shoah. E che il Giorno della Memoria è stato istituito in Italia nel 2000. Ma Lia Levi è soprattutto una narratrice ed è con la finezza della scrittura letteraria che ci racconta una storia piena di chiaroscuri: vediamo le ambiguità, le opacità, le sfumature dei personaggi, uomini e donne, di quel “villaggetto” costituito dalla famiglia ebrea di Elsa, e con il procedere della trama è sempre più la figura di Dora, la figlia minore, ad assumere rilievo: è il suo punto di vista – quella di una figlia cui troppo è stato taciuto – ad emergere, ponendo quelle domande cui il tempo trascorso dalle persecuzioni e dallo sterminio non sembrano ancora aver trovato tutte le risposte.