Quando la regola era il silenzio
Testata: Pagine Ebraiche
Data: 5 settembre 2012
La notte dell'oblio. È questo il titolo che Lia Levi ha scelto per il suo ultimo libro. Un'opera che la scrittrice descrive come una storia dedicata a "quegli anni in cui non si parlava di ciò che poco prima era successo": la persecuzione razzista, la deportazione, lo sterminio. Una realtà che non veniva affrontata Né con se stessi, all'interno della Comunità ebraica, né con il resto della società in un paese, l'Italia, che stava tentando di ricostruirsi, di ricominciare e aveva fretta di lasciarsi
· il passato alle spalle. "Ogni cosa può essere raccontata in tanti modi - spiega Levi - Io scrivo romanzi e lo faccio attraverso simboli narrativi". Le vicende narrate in La notte dell'oblio prendono inizio, quando nei giorni dell'occupazione nazista, una famiglia di ebrei romani trova rifugio in campagna Giacomo, il padre, deve recarsi periodicamente in città per occuparsi del lavoro che ha lasciato in gestione al commesso. Una sera però non torna a casa. La moglie Elsa e le due figlie adolescenti Milena e Dora si trovano a fa- Quando la regola era il silenzio Lia Levi e la scelta, nel primo dopoguerra, di non parlare della Shoah re i conti con questa scomparsa, reagendo ciascuna a modo suo. E mentre Elsa tenta disperatamente di rimanere nel silenzio, di non portare alla luce quanto accaduto, per guardare al futuro, Dora si ritrova immersa in un viaggio alla ricerca di se stessa e delle ragioni della morte del padre, ma anche in un legame con il figlio di chi lo ha denunciato. Una storia d'amore impossibile, tra la figlia dell'ebreo deportato e il figlio del delatore, diventa così il simbolo narrativo di quell'epoca, in cui raccontare la Shoah pareva quasi "poco educato". Ed è proprio il momento in cui Dora si fa coraggio e va a incontrare il responsabile della morte del padre, quello in cui l'autrice ammette di essersi maggiormente identificata perché "quello a cui la ragazza si trova di fronte, non è che un omuncolo, un vuoto di meschinità". Di famiglia piemontese, nata nel 1931 e trasferitasi a Roma dopo la promulgazione delle leggi razziste nel 1938, Lia Levi nei suoi libri ha tracciato molti affreschi della vita ebraica in Italia nel ventesimo secolo, cominciando dalla sua prima fatica Una bambina e basta, pubblicato nel 1994, in cui racconta la sua infanzia nell'orrore della persecuzione e della guerra, fino ad arrivare all'ultimo, La sposa gentile, incentrato sulla vita di una famiglia piemontese all'inizio del Novecento. In mezzo tanti, tantissimi lavori per bambini. "Quando mi occupo di raccontare la realtà ebraica, mi sforzo sempre di non essere didascalica, di parlare con humor e leggerezza - sottolinea la scrittrice - Una linea guida che seguo anche nello scrivere per ragazzi. Certo in quest'ultimo caso è necessario adattarsi al pubblico cui ti rivolgi. Spesso mi trovo a dover fare un sondaggio tra i miei nipoti per sapere se conoscono questa o quella parola. Ma anche con i bambini è necessario variare". Quella dei primi anni del dopoguerra è un'epoca che Lia Levi conosce bene, è il periodo della sua adolescenza, della sua gioventù. Una realtà che però allora la giovane Lia vedeva con occhi diversi da quelli con cui oggi ha raccontato La notte dell'oblio. "Da ragazza sapevo ciò che era successo durante la Shoah, osservavo ciò che accadeva intorno a me, eppure non lo registravo, non riflettevo sul meccanismo di rimozione che era in atto. Per rendere quest'atmosfera nel libro, ho scelto di inserire un episodio che mi è realmente accaduto. Non è una cosa che di solito fàccio nei miei romanzi, ma in questo caso ho fatto un'eccezione perché penso che se avessi dovuto inventare una cosa del genere, non avrei avuto la fantasia, né il coraggio di farlo. A un campeggio ebraico, durante una serata organizzammo un quiz. Eravamo a metà degli anni Cinquanta. A una ragazza di una Comunità ebraica del Nord Italia, fii chiesto chi fosse Hitler. Lei non lo sapeva. Per aiutarla, il presentatore le chiese ancora se era una persona che aveva fatto del bene o del male agli ebrei. Rispose del bene. Penso che questo avvenimento racconti meglio di qualunque altra cosa l'atmosfera che si respirava all'epoca. Agli storici, agli studiosi va il compito di spiegare i motivi di quella situazione. Io ho cercato di raccontare le cose com'erano, quelle emozioni, quei sentimenti".