Sebbene già a una prima, sommaria, ricognizione del apratesto di questo nuovo romanzo di Paolo Teobaldi lipotesi fosse balenata, il destro per il parallelo ci viene definitivamente offerto con inaspettata magnanimità alla pagina 35: su un lato delledificio rinascimentale che ospitava lospedale psichiatrico di Pesaro (quello che per la voce narrante è appunto Il mio manicomio) si leggeva su una lapide: IN QUESTA DELIZIA DEL PARCHETTO / CHE FU DEI PRINCIPI DELLA ROVERE / EBBERO STANZA E SCRISSERO / BERNARDO E TORQUATO TASSO. Come se nnon bastasse, più avanti si apprende che tra le degenti del nosocomio, durante il periodo nel quale il personaggio che dice io e racconta la storia, Matilde Tilde Manentini, vi prestava servizio come infermiera, cera la Professoressa , che aveva anche insegnato per davvero alle medie e al ginnasio, una donna intelligentissima, che però a un certo punto, a furia di studiare, era andata giù di testa: come Torquato Tasso.
Ma procediamo con ordine. Il mio manicomio è unopera inconsueta, a metà strada comè tra racconto dinvenzione, documento quasi sociologico (o comunque strettamente attinente alle scienze umane), testo memorialistico fittiziamente autobiografico. Tilde rievoca la propria vicenda umana e professionale da un tempo che, ancorché non definito, sintuisce prossimo al presente di chi legge: il suo sguardo r ivolto allindietro risale a uninfanzia poverissima, mutila di un padre morto in galera alla Capraia, per poi ripercorrere, con andamento divagante e minuzioso al contempo, le storie dellospedae nel quale ha prestato servizio dal 1938 al 1978, a ridosso della riforma Basaglia (anzi Pazzaglia, come venne immediatamente storpiato da Tilde e dalle sue colleghe il nome del grande psichiatra). Con esse sintrecciano le vicende private della protagonista: un matrimonio felice, un rapporto non facile con una figlia, una gravosa emancipazione dalla miseria e dalle rovine della guerra.
La voce sicura del soggetto del testo trasforma così quello che avrebbe rischiato di rimanere un dignitoso affastellarsi di aneddoti ed episodi, per quanto drammatici, in un lungo monologo doloroso e tuttavia mai cupo. A conferire al dato documentale una cifra letteraria riconoscibile e matura provvede altresì la confezione linguistica del romanzo: una paratassi sulla quale sinnesta un lessico dialettale e gergale, scelta capace di restitutire un immaginario, se non un mondo interiore.
Pare che gli anni trascorsi a Pesaro da un Torquato adolescente, alla corte di Guidobaldo II della Rovere, in quel palazzo pentagonale che tre secoli dopo sarebbe diventato il manicomio di Tilde, siano stati sereni: di lì a qualche anno avrebbe cominciato a mettere mano a unopera che lo avrebbe impegnato, prostrandolo fino alla nevrosi, per un trentennio, tra rifacimenti e riscritture ossessionanti scrupoli religiosi e stilistici: la Gerusalemme liberata. La vicenda del più grande poeta del proprio tempo recluso nellospedale di SantAnna a Ferrara per sette anni, a causa di quello che oggi chiameremmo un forte esaurimento nervoso, si trasformò in mito letterario già tra i suoi contemporanei, per non dire dei secoli successivi, fino a condizionare, quantomeno in parte, la ricezione del suo capolavoro (Oh misero Torquato! Il dolce canto / Non valse a consolarti o a sciorre il gelo / Onde lalma tavean, chera sì calda, / Cinta lodio e limmondo / Livoro privato de tiranni, ricordate Leopardi?).
Riprendendo in mano oggi quello che è stato definito il più malinconico dei poemi eroici, ci si lascia volentieri irretire dalla perturbante musicalità delle sue ottave, dallinquietudine che lo percorre e ne connota vicende ed episodi, duelli e amori, fino a velare di angoscia la prospettiva storica ed etica sulla quale avrebbe dovuto fondarsi quello che voleva essere il primo poema epico cristiano.
La Magis, la Pofessoressa ricoverata, trascorreva i suoi giorni dentro al manicomio svolgendo i temi che aveva assegnato un tempo ai suoi alunnie trascrivendoli in bella grafia su fogli protocollo. Tilde la ritroverà, residuo manicomiale, anni dopo il suo pensionamento: sporca e disfatta ancora reclusa al San Benedetto, ormai andato in rovina. La Professoressa le donerà lultimo suo elaborato, scritto stavolta con una grafia incerta efaticosa. Il titolo del tema era Il dolore nella letteratura italiana. Ci sembra un ottimo suggello anche per questo parallelo.