Prendiamo un immigrato “tunisino” di Palermo, una giovane parrucchiera musulmana col velo, un’operazione top secret: gli ingredienti per una Spy Story di successo ci sono tutti. Già dalla copertina, coloratissima, ci troviamo davanti un mondo fatto di contraddizioni, dualismi e doppie vite, uno scontro/incontro di culture nella Roma multietnica e multiculturale di Viale Marconi. Siamo nel 2005, in piena lotta al terrorismo; il Sismi teme (o cerca di anticipare) una eventuale minaccia per Roma; non può fare brutta figura con la CIA ed i colleghi extraeuropei nella War on terror, deve scovare la cellula terroristica della capitale. L’ufficiale a capo della missione deve trovare assolutamente un paladino, un James Bond mediterraneo per portare a termine l’operazione “Little Cairo” e poter acquisire fama mondiale. Qui entra in scena il nostro protagonista: Christian Mazzari, un giovane siciliano che parla perfettamente l’arabo; scuro di carnagione; laureato in lingue orientali; non sposato… l’infiltrato perfetto!
Per l’occasione mi tagghiai i capelli quasi a zero, come i marines. Di sicuro risparmierò sullo shampoo e sul gel! Mi sono messo dei vestiti a buon mercato, un jeans e un maglione made in China. Insomma, irriconoscibile sono. Infilo per l’ennesima volta la mano destra nella tasca interna della giacca. Ho paura di essere derubato come un turista qualsiasi? Non diciamo minchiate. Voglio solo assicurarmi di non aver perso il nuovo documento d’identità.[...] Da oggi ho un altro nome, un’altra data di nascita, un’altra cittadinanza e sono nato in un altro paese. Mi ci vuole un po’ di tempo per entrare nel personaggio. Intanto, mi devo abituare a questa minchia di baffo.
La nuova identità di Christian è quella di un tunisino di nome Issa (in arabo Gesù), immigrato e in cerca di lavoro. Cercando di “darsi un tono” come immigrato provetto, il nostro 007 irrompe nella realtà dei quartiere popolare romano vissuta ogni giorno da decine di extracomunitari; quella del call center “Little Cairo” (centro di aggregazione della cellula terroristica, secondo il capo Giuda) e del Bar di Akram/John Belushi; per poter sembrare un insospettabile cittadino extracomunitario, ha bisogno di due cose fondamentali: una famiglia residente nel Paese d’origine e un appartamento da condivere con altri immigrati; le lunghe telefonate con la nuova mamma, il babbo, il fratello e la sorella di Tunisi, alle prese con l’organizzazione del matrimonio, aiuteranno a non destare sospetti, come l’ alloggio/camera e la convivenza con altri 11 inquilini gentilmente “offerti” dalla signora Teresa/Vacanza, tipica “Sora Lella” di quartiere che grazie agli affitti riesce ad alternare una vacanza all’altra, concedendo anche benefici fiscali agli immigrati “meritevoli”.
Il susseguirsi dei capitoli ci permette di conoscere il punto di vista di un altro personaggio; si tratta di Sofia/Safia, iraniana col velo e parrucchiera clandestina per le ragazze del quartiere. Attraverso gli occhi della donna ci viene presentata drammaticamente ma anche ironicamente (umoristicamente, nel senso pirandelliano) la convivenza pacifica ma forzata non solo tra due culture diverse, quella occidentale/cristiana e quella musulmana, ma all’interno di una stessa comunità, l’ipocrisia data dal sentirsi liberi e lontani dal peso delle tradizioni del Paese d’origine, ma allo stesso tempo il rimanere costantemente imbrigliati in esse.
Nessuno può scegliersi il proprio nome, voglio dire il primo nome. Però per ogni immigrato la questione del nome è fondamentale. Se hai un nome straniero si crea immediatamente una barriera, una frontiera insuperabile fra il “noi” e il “voi”. Safia è stato scelto da mio padre senza consultare nessuno. Povero papà, si aspettava un maschietto e aveva già pronto un nome: Saad, “di buon auspicio“. “La bambina si chiamerà Safia, come la moglie del grande Saad Zaghloul“. [...] Però da quando vivo a Roma ne ho un altro: Sofia. Che sia chiaro: non me lo sono andato a cercare, mi è stato regalato e io l’ho accettato. Non si dice infatti che il regalo non si rifiuta? Primo: la gente scambia facilmente (e senza alcuna cattiveria) “Safia” per “Sofia”. Secondo, per molti conoscenti italiani, io (senza il velo) assomiglierei molto a una famosa attrice italiana, Sofia Loren.
Il nostro Issa, tra le piccole e grandi vicende quotidiane, come la conquista del diritto di usare per primo il bagno dell’appartamento “Comblimenti! Tu vero musulmano bratecanti!”, inizia a lavorare come lavapiatti in una pizzeria, a conoscere e farsi conoscere nell’ambiente (Insciallah), ma viene rimproverato dal capitano “Giuda” di essere più impegnato ad aiutare i coinquilini nei problemi di ogni giorno che stanare la famosa cellula terroristica, fino ad un grave errore che potrebbe fargli saltare la copertura: un giorno al mercato difende pubblicamente una donna col velo da un uomo che la accusa di essere una talebana. Si tratta della nostra Sofia: incontro romantico e da film, niente da invidiare al Vacanze romane hollywoodiano, anche per lei che odiava le soap operas arabe! Per la promettente parrucchiera col velo, sposata col musulmano Felice/L’architetto- Pizzaiolo, prima fidanzato modello, permissivo e liberale, poi oppressivo e tradizionalista, Christian diventa “il Marcello arabo”, in onore del mitico Mastroianni in La dolce vita. Dopo le continue liti col marito Felice, un altro evento sconvolgerà la vita di Safia: “l’architetto” in uno scatto d’ira, pronuncerà per la terza volta la parola “Anti taliq” “Sei ripudiata!”. Secondo il Corano, la terza volta è “Maktùb“, sancisce la fine del matrimonio; l’unica possibilità di tornare insieme alla moglie ripudiata è quella di mettere in atto il Divorzio all’islamica: la donna deve sposare un altro uomo e consumare il matrimonio, soltanto dopo potrà risposare il primo marito. Un colpo di scena ci accompagnerà fino alla fine del libro, che si rivelerà essere soltanto l’inizio di un’avventura!
Un 30 e lode per la commedia satirica e al tempo stesso attenta al sociale e alla diversità culturale scritta da Amara Lakhous. L’autore regala momenti di divertimento uniti a spunti di riflessione, mostrando grande abilità nel far vivere le contraddizioni di una società moderna, come quella italiana, aperta e multiculturale ma allo stesso tempo profondamente divisa ed arretrata, nel modo in cui non mancano (e non mancheranno mai) i luoghi comuni, tra gli immigrati e tra gli stessi italiani: Sicilia=mafia; musulmano=talebano. Affascinante ed estremamente intelligente inoltre è il modo in cui lo scrittore riesce a portare in superficie le sfumature psicologiche dei personaggi principali, il tutto perfettamente amalgamato in una scrittura densa di proverbi popolari, termini arabeggianti e dialettali, che ben rievocano l’atmosfera semplice e frizzante del parlato.
Nessuno può sfuggire al maktùb, il destino. Quando si nasce, Dio scrive sulla fronte di ciascuno di noi tutto quello che vivremo fino alla morte. Il maktùb ci aiuta ad accettare il fatto compiuto, come la morte di una persona cara, per non impazzire o non cadere nella più cupa disperazione. Esiste una volontà superiore che domina la nostra. Credere nel maktùb, prima di tutto, è un atto di fede. Le cose non accadono casualmente, c’è sempre una ragione. L’importante è fare tutto il possibile e assumersi le proprie responsabilità. Mi piace il concetto di fair play nello sport: dare il massimo e accettare il risultato finale. Questo secondo me è un esempio di maktùb.