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Un siciliano contro Al Qaeda

Autore: Valeria Ferrante
Testata: La Repubblica / Palermo
Data: 28 novembre 2010

Divento finalmente operativo durante un sabato pomeriggio dell'ultima settimana di aprile. Prendo il 780 da piazza Venezia e scendo a piazza della Radio. Faccio un pezzo di strada a piedi fino a piazza Enrico Fermi. Ci sono troppe macchine, ci vorrebbe un piccolo miracolo per trovare parcheggio. I marciapiedi sono intasati. La gente è attratta dai negozi di abbigliamento come le mosche dal miele o dall'immondizia. Mi fermo davanti ad una vetrina per guardare il riflesso del mio viso. Rimango colpito da un particolare: il baffo. È la prima volta in vita mia che me lo faccio crescere, sembro più vecchio di almeno cinque anni. Per l'occasione mi tagghiai i capelli quasi a zero, come i marines. Di sicuro risparmierò sullo shampoo e sul gel! Mi sono messo dei vestiti a buon mercato, un jeans e un maglione made in China, mandando il mio consueto look a farsi benedire. Insomma irriconoscibile sono. Infilo per l'ennesima volta la mano nella tasca interna della giacca. Niente panico: il portafogli c'è. Ma che mi sta succedendo? Ho paura di essere derubato? Non diciamo minchiate. Voglio solo assicurarmi di non aver perso il nuovo documento d'identità. Senza il permesso di soggiorno sono un extra comunitario clandestino che rischia l'espulsione. Oramai ho imparato a memoria tutti i nuovi dati anagrafici. Da oggi ho un altro nome, un'altra data di nascita, un'altra cittadinanza e sono nato in un altro paese... Incipit del romanzo Divorzio all'islamica di Amara Lakous Cresciuto a Mazara del Vallo, Christian Mazzari è un giovane che parla un poco di arabo. Era stata la buonanima di nonno Leonardo, nato a Tunisi da una famiglia d'immigrati trapanesi, ad insegnargli le prime parole: Shismek, come ti chiami? Win meshi, dove vai? Nhebbek barsha, ti voglio bene assai. Seguendo l'affetto per il nonnoo il proprio maktùb (destino), Christian decide di imparare meglio l'arabo alla facoltà di lingue orientali a Palermo. Dopo aver rinunciato alla carriera universitaria, perché non gli andava «di fare lo schiavo o il leccaculo del professore», va a fare l'interprete dall'arabo al tribunale di Palermo; dove «fortunatamente o sfortunatamente» il lavoro non mancava mai. Un giorno viene avvicinato da un tizio «alto e siccu», il capitano Tassarotti del Sismi, nome in codice "Giuda", per una missione da "spione". Infiltrarsi nella comunità musulmana a Roma, per smascherare gli affiliati a una cellula di alQaeda. Inizia così il nuovo e coinvolgente romanzo del quarantenne scrittore algerino Amara Lakhous dal titolo: Divorzio all'islamicaa viale Marconi (Edizioni e/o, pagine 186, 16 euro). Una spy story in cui s'inseguono parallelamente i due racconti in prima persona: di Christian Mazzari o del suo alter ego Issa, immigrato tunisino residente in viale Marconi, e quello di Safia o della sua alter ego Sofia, immigrata egiziana sposata con Said, un architetto che per sopravvivere fa il pizzaiolo. Dal momento in cui Christian accetta di partecipare all'operazione anti-terroristica "Little Cairo", tutto cambia. Perde il suo vero nome, smette di parlare correttamente l'italiano e di pensare come un occidentale. Dimentica a una a una le proprie abitudini. Perché il suo nuovo status è quello di un extracomunitario in cerca di fortuna, che come tanti è costretto a condividere un piccolo appartamento con altre undici persone di diverse etnie: egiziani, marocchini, bengalesi, senegalesi. Issa dovrà dunque fare i conti con il lavoro nero, il razzismo, il codice d'onore che regola la coabitazione coatta, fondata su ingiuste regole non scritte e soprattutto sulla gerarchia religiosa; perché i musulmani non sono tutti uguali, si dividono tra i privilegiati osservanti e i non osservanti. In contro canto si susseguono le parole di Safia, diventata Sofia non appena giunta in Italia. Dovrà imparare l'italiano, superare lo sguardo dell'altro che spesso esprime «fastidio, disagio, timore». Dovrà confrontarsi con nuovi concetti: le libertà individuali, l'emancipazione femminile e nel contempo vivere la propria dimensione di musulmana credente in un ambiente pieno di pregiudizi. O paradossalmente sfuggire da chi si dichiarerà più osservante di lei e continuamente la porrà di fronte a ciò che è halal, lecito, haram, peccato e fatwa, vietato. Gli universi di Issa e Sofia ne contengono a loro volta altri: un puzzle di storie e personaggi che si incastrano, si avvicendano, si richiamano, come spesso nella vita ci accade senza neppure rendercene conto, e pongono continuamente interrogativi. Com'è possibile ad esempio vivere in una società in cui la prima generazione dei figli d'immigrati nati in Italia, quasi un milione, continua a non essere riconosciuta? «La situazione non è positiva. - ci dice al telefono Lakhous - Ci sono tanti ostacoli che bisogna superare soprattutto quando la diversità ancora oggi non è considerata una risorsa, ma una minaccia. Ci vorrebbe grande capacità di dialogo, quindi disponibilità all'ascolto e allo scambio. Bisogna sempre sforzarsi a comprendere le ragioni degli altri, perché non si acquisisce conoscenza senza dialogo». Attraverso i due protagonisti di Divorzio all'islamica, l'apertura ad un confronto sembra possibile. Essi ci aiutano pian pianoa capire il loro soggettivo punto di vista e dalla loro altalenante narrazione non si può che rimanere coinvolti. L'autore ci aiuta a immedesimarci nei loro pensieri attraverso un linguaggio colloquiale, facendo spesso ricorso ad inflessioni dialettali come il siciliano per Christian, o i difetti di pronuncia, la b detta al posto della p, per gli immigrati. Sullo sfondo c'è un paese, l'Italia, «senza futuro», come Amara Lakhous fa dire a Giulia, una trentottenne romana amica di Safia, che lavora parttime in un'agenzia immobiliare. Visto che l'Italia è stata ed è terra di emigrazione sorge spontanea la domanda: cosa ne è degli immigrati che vengono qui per lo stesso identico motivo? Non ce se ne può lavare le mani lasciandoli soli ad "arrangiarsi". Il romanzo oltre a rimarcare queste questioni sociali ci immette in una dimensione di paura con la "War on terror", la guerra contro il terrore, con tanto di obiettivi sensibili in Italia. Ecco allora che la spy story si arricchisce di suspense, giochi delle apparenze, ambiguità. Amara Lakhous nel comporre l'intreccio di vite doppie, nel confondere le idee, si mostra particolarmente abile; le cose che sembrano infatti ovvie non lo sono per niente. Allora bisogna andare in fondo, scavare sotto la superficie aggrovigliata della realtà ed ancora scavare, anche a costo di correre rischi. Umorismo, intelligenza e vivacità puntellano infine il racconto, confermando le qualità narrative dello scrittore algerino, che già a partire dal suo primo romanzo, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio (Edizioni e/o 2006) aveva dimostrato di possedere. Un romanzo di successo che ha vinto il premio Flaiano per la narrativa e il Regalmare-Leonardo Sciascia, e da cui nel 2010 è stato tratto un film diretto da Isotta Toso. «Ho scelto un siciliano come protagonista, perchéi siciliani sono i più vicini alla cultura araba - sostiene Lakhous - per due motivi: geografico e storico. Il mio grande maestro Leonardo Sciascia diceva che gli arabi avevano lasciato tracce dappertutto nei luoghi, nelle fisionomie, nei nomi eccetera. Il nome di Sciascia stesso è di origine araba, vuole dire cappello».