Quando Amara Lakhous scappa dallAlgeria, nel 95, per i troppi rischi che corre come giornalista, la questione della scelta della meta si pone: quella già designata, la Francia, o quella più originale, lItalia. Amara arriva come rifugiato politico in un paese che non offre laccoglienza della ex colonia dOltralpe, ma che garantisce, in compenso, lanonimato. A Roma, sulla sua nazionalità non pesa limmaginario del passato coloniale. «Mi sono sentito fin da subito libero» racconta. Da qui la voglia di rimettersi a scrivere. Libero dalla scelta ideologica tra francese e arabo che pesa come una condanna sulla letteratura francofona: «scrivendo in italiano ho spostato la questione sul piano esistenziale e politico».
Per lItalia, Amara, allora venticinquenne, ha un immediato colpo di fulmine che trasforma il doloroso esilio in una grande occasione. Nonostante le difficoltà che si trova ad affrontare allinizio, siscrive alla facoltà di antropologia, dopo una laurea in filosofia ad Algeri. Vince un dottorato e lavora per lagenzia stampa Adnkronos andando, nel frattempo, a vivere a piazza Vittorio, il quartiere più multietnico di Roma. Le esperienze, i volti, e i diversi linguaggi si miscelano in una vorticosa rinascita che trasforma la frattura dellesilio in privilegio. Un privilegio che si fa anche leggere. Lo scrittore decide di riscrivere, attraverso un lungo lavoro di adattamento, il suo secondo romanzo, originariamente in arabo, Come farti allattare dalla lupa senza che ti morda. Nasce così Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio (Edizioni e/o, 187 pagine, 12 euro), un atto damore per Roma, cuore e simbolo di unitalianità acquisita in maniera consapevole attraverso uniniziazione che solo lo straniero ha la capacità di intraprendere: «Lidentità - spiega lo scrittore - si definisce solo rispetto allalterità come in un gioco di specchi».
In viaggio, come in esilio, il quartiere di piazza Vittorio è unarea di transito per via della stazione Termini, del mercato e del parco. La animano una carrellata di personaggi che sincontrano, si scontrano e si raccontano ciascuno con i propri tic e pregiudizi, come in una commedia allitaliana, in cui la comicità si scatena dalla riflessione, ma nella trama del noir mediterraneo. «Il genere noir è quello che meglio si adatta alla nostra epoca - spiega Lakhous - lepoca dellurgenza e della sovraesposizione dellinformazione, nella quale si riesce a ricevere un po dattenzione solo quando scappa il morto». Qui si tratta di capire chi ha ucciso il Gladiatore. «E i personaggi, in una situazione del genere, vuotano il sacco». Il professor Marini sostiene che lascensore è un simbolo di civiltà, per Maria Cristina, la robusta domestica che sale sempre a piedi, prendere lascensore vorrebbe dire essere diventata magra. «Ognuno si racconta nella sua verità inforcando quei maledetti occhiali che ci fanno vedere solo quello che vogliamo». Per Parviz, liraniano che dà da mangiare ai piccioni a Santa Maria Maggiore, una cosa è chiara come il cielo di Shiraz, odia la pizza e non sopporta quando la portiera napoletana, Benedetta, gli dice guagliò, «che, come tutti sanno, vuol dire cazzo in napoletano». Ma lo stesso vale per Benedetta: Parviz le dice sempre merci, «che in albanese vuol dire cazzo».
I malintesi si rincorrono e fanno sorridere fino a decostruire quelle identità artificiali che ritraggono ogni personaggio attraverso la grande lente dello scontro di civiltà. I pregiudizi si accumulano fino al caos. Allora Ahmed, il protagonista, immigrato modello, diventato Amedeo per non destar sospetti, si mette a ululare come una lupa romana, dalla quale tutti, senza distinzione di razza, si fanno allattare. Lakhous mette in scena un paese che si racconta in un quartiere che è un microcosmo di etnie il cui destino si gioca in un ascensore. «Lascensore, come questo paese, è una realtà mobile. Ci troviamo di fronte a una scelta urgente: possiamo decidere per unItalia di conflitti e di ghetti o per un paese multietnico, nel senso anche di milanesi e napoletani». Lakhous presenterà il suo libro alla Fiera del libro di Torino il 5 maggio.