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Parla Amara Lakhous, romanziere. "Il mio italiano che sa di arabo e di Gadda"

Autore: Francesca De Sanctis
Testata: L'Unità
Data: 24 aprile 2006

Amara Lakhous. Età: 36 anni. Nazionalità: algerina. Segni particolari: attento osservatore. Da questa sua curiosità, in fondo, nasce Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio. «Ho deciso di scrivere questo libro dopo aver vissuto sei anni in piazza Vittorio ed aver conosciuto, in un centro di accoglienza, persone provenienti da tutto il mondo» dice Amara Lakhous, che vive a Roma dal 1995 e a piazza Vittorio ha dedicato anche la sua tesi di laurea. «Ho incontrato gente talmente diversa che è come se avessi viaggiato in Albania, Bangladesh, Pakistan... pur non essendoci mai stato». Aggiunge di aver scritto un libro sul futuro dell’Italia: «Ho visto l’Italia del 2050, perché piazza Vittorio è un laboratorio del futuro. Scegliere un condominio per raccontare tante difficoltà mi sembrava un’idea geniale, sempre partendo dalla commedia all’italiana, che è la mia chiave di lettura».

Le persone che incontriamo nel libro sono frutto della fantasia, è chiaro, ma «Parviz, per esempio, per me è il simbolo di tutti gli immigrati - spiega Amara -. Di reale c’è la conoscenza del territorio, il resto è letteratura. Ho lavorato molto sul linguaggio. È un libro che ho scritto in arabo e poi ho riscritto in italiano. Ho cercato di arricchire la lingua italiana partendo dall’arabo. Viceversa, anche il mio stile arabo è stato contaminato dall’italiano. Ho tentato di dare un contributo al recente dibattito tra Baricco e Ferroni sul linguaggio impoverito. Spero che anche altri scrittori, come me, daranno un contributo simile alla lingua italiana, attraverso altre lingue, altre culture. È un progetto che s’ispira un po’ a Gadda».

E da queste lingue che si sovrappongono vengono a galla aspetti molto curiosi su noi italiani. «È un gioco di specchi - spiega ancora lo scrittore -. Quando una persona si mette davanti ad uno specchio vede delle cose che prima non vedeva. Dunque ho cercato di mostrare noi stessi e come gli altri ci vedono... Penso che uno scrittore debba avere la capacità di osservare e io l’ho fatto attraverso l’ironia. Io non mi prendo sul serio, mi diverto». Quando arrivò in Italia, undici anni fa, racconta, lo colpì la mediterraneità del nostro Paese. «Ho trovato in Italia molte cose che avevo lasciato in Algeria: i quartieri popolari come piazza Vittorio, per esempio. Ad Algeri appartenere ad un quartiere è parte dell’identità. Le persone vengono chiamate con il nome proprio seguito dal nome del quartiere in cui vivono. Ho trascorso mattinate intere senza comprare nulla camminando nel mercato di piazza Vittorio perché volevo essere vicino a questo calore, soprattutto nei primi anni. Poi ci ho vissuto, a piazza Vittorio. E l’esperienza nel centro di accoglienza mi ha cambiato la vita, perché ho conosciuto le persone».