Un pirata piccolo piccolo
Autore: Carlo di Francescantonio
Testata: Mangialibri
Data: 12 luglio 2011
“Chi nasce il 29 febbraio vive il tempo in un modo davvero strano: passa da 4 a 8, da 8 a 12, e così via” e questo è accaduto a Hassinu, quarantenne solo, che vive isolato in un mondo fatto di integralisti, trafficanti, politici che decidono le sorti e vite delle persone. Hassinu è impiegato alle poste di Algeri ed è nato il 29 febbraio e da 36 anni si ritrova a 40 in un colpo solo, sentendosi così derubato ingiustamente della sua vita, estendendo la metafora a tutti le persone della sua generazione alle quali il loro Paese ha “rubato” gli anni migliori. Inizia così, con rabbia e lucidità, un’analisi verso il mondo in cui è cresciuto. Quella di Hassinu, detto il pirata, è una lotta individuale e disperata contro un mondo di parassiti che spuntano da ogni dove pronti a succhiargli il sangue, a carpirgli i segreti, a rubargli la vita quella vita che si ritrova a non aver vissuto. Nell’arco di tre giorni, scanditi da riti ossessivi e maniacali, lo vediamo fare i conti con la realtà algerina colma di corruzione, repressioni e paura. Hassinu racconta in modo critico la società algerina, stretta fra ipocrisia religiosa, gestione familistica del potere, raccomandazioni, impoverimenti per molti e arricchimenti vantaggiosi per pochi. Viene così tratteggiato un ritratto senza speranze. Hassinu, in questo universo pericoloso, riesce a fidarsi solo del proprio membro virile, una sorta di alter ego con tanto di nome, Fertàs, preso dall’antica letteratura erotica araba e che significa “il calvo”. Nella disperazione, solo Fertàs si rivela un vero amico. E solo lui, alla fine, conta qualcosa...
Amara Lakhous racconta una generazione, un paese che ha anticipato, in qualche modo, quello che sta succedendo oggi in tutto il mondo arabo. Hassinu vuole il pane e la libertà, come i giovani arabi di oggi che si stanno ribellando alle dittature. Lakhous è nato ad Algeri nel 1970 e vive a Roma dal 1995. Un pirata piccolo piccolo è rimasto per anni un libro segreto, che circolava tra pochi amici. Era un romanzo che poteva costare la vita al proprio autore. Nel 1993 era esploso il terrore islamista dopo che il regime aveva invalidato le prime libere elezioni e da quel momento i fondamentalisti scatenarono una guerra civile prendendo come pericolo da eliminare particolarmente gli intellettuali e i giornalisti e Amara Lakhous era uno di questi. Nell’ottobre del ’95 decise di partire per l’Italia, portando con sé il dattiloscritto. Gesto anche questo pericoloso, dal momento che poteva essere controllato alla dogana. In Italia, proseguiti gli studi, Lakhous riuscì a far stampare un’edizione bilingue (in tiratura di 1000 copie) del libro, senza che però venisse distribuito. L’autore, nella prefazione, ricorda così una parte di genesi del romanzo: “Algeria, 1993. Avevo ventitré anni. Il terrorismo stava entrando con prepotenza a far parte della nostra vita quotidiana, e la situazione non prometteva niente di buono: i militari, attraverso l’imposizione dello stato d’emergenza, intervenivano per “salvare la neonata democrazia”, in realtà i propri interessi personali. I fondamentalisti, autoinvestitisi di una missione salvifica, tentavano di instaurare una teocrazia talebana sulle rive del Mediterraneo. Ogni giorno che passava lasciava morte e sangue per le strade, pessimismo e disfattismo nel cuore”.