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Chau papito

Autore: Raul Schenardi
Testata: Edizioni SUR / Blog
Data: 14 novembre 2011

Addio, ciao, bye bye, goodbay (in tribunale, magari)… da un paio di giorni a questa parte il congedo dei media nazionali e internazionali al “nostro” presidente viene declinato in tutti i modi possibili. Prevalgono – poteva essere diversamente? – i toni dell’irrisione e dello sberleffo. Ma è così grave in fin dei conti l’uscita di scena dalla politica? (Sempre che sia definitiva, non facciamo scherzi eh?) Per come la vedo io, più importante per il Cavaliere è l’ingresso trionfale nella letteratura, nel mondo della fiction a cui è tanto affezionato. E in un ruolo smagliante, in una scena che ci ricorda le sue migliori performance, il suo alto profilo… Di cosa parlo? Di un romanzo uscito da poco e che ho avuto il piacere di tradurre, dove a pagina 108 un personaggio, parlando di una famosa pornostar internazionale di origini italiane, racconta:

«Ha già visto la Vedovelli? domandò poi cambiando discorso. Sarà il clou dell’evento, perché gira voce che parlerà della sua vita, al che replicai: sono appena arrivato, non so che si dice in giro. Maturana proseguì: che Dio mi perdoni se si tratta di calunnie, io ripeto solo voci di corridoio, ma a quanto pare è stata l’amante di mafiosi, politici e pezzi grossi del governo. Si dice che Berlusconi, ti ricordi quel pelato che è stato presidente del consiglio italiano qualche anno fa ed è diventato famoso perché si scopava le ragazzine? Sì, certo, risposi. Continuò: be’, si dice che una sera l’ha regalata al presidente della Russia in visita ufficiale, che durante la cena la Vedovelli è salita sul tavolo e si è messa a ballare scaraventando sul pavimento piatti e bicchieri, poi si è tirata su la gonna e si è avvicinata ai due, che di sicuro erano ubriachi o strafatti di coca, si è scostata il tanga e gli ha pisciato in faccia. Li schizzava di urina mentre loro cantavano la balalaika o qualche puttanata del genere, e quelli la mischiavano con lo champagne e bevevano, poi se la sono scopata insieme, uno davanti e l’altro per Detroit, sul tavolo, e le hanno dato una ripassata con i fiocchi. Così dicono, io non ne so niente, è la vita.»

Il romanzo in questione si intitola Morte di un biografo (edizioni e/o) e l’“omaggio” al Cavaliere si spiega anche con il fatto che l’autore, il colombiano Santiago Gamboa, è tornato a vivere a Roma l’anno scorso, dopo aver svolto un incarico a Nuova Dehli in veste di consigliere culturale dell’ambasciata di Colombia. Gamboa del resto è ben noto ai lettori italiani per i suoi precedenti romanzi: Perdere è una questione di metodo (1998), Vita felice del giovane Estebán (2001), Ottobre a Pechino (2002) e Gli impostori (2004), tutti pubblicati da Guanda e tradotti da Pino Cacucci.

In Morte di un biografo (titolo originale: Necropolis; il romanzo ha vinto nel 2009 il premio La Otra Orilla), ambientato in un vicino futuro, uno scrittore colombiano che risiede da anni a Roma viene invitato a un Congresso internazionale di biografi che si svolgerà a Gerusalemme, città sotto assedio e metafora dei tempi apocalittici. Durante il Congresso farà conoscenza con una variopinta fauna di editori, scrittori avidi di fama e giornaliste in fregola, e ascolterà i racconti delle vite di una serie di curiosi personaggi: una pornostar con un passato di eroinomane, due giocatori di scacchi che si accontentano della mediocrità, un meccanico colombiano rapito dai paramilitari, e al centro di tutti il più carismatico: un ex predicatore evangelico proveniente dai bassifondi di Miami. E sarà proprio costui, con il suo misterioso suicidio nell’hotel-bunker dove si svolge il congresso, a incuriosire lo scrittore e a far scattare in lui il dubbio che proprio di suicidio si tratti. Così, a un certo punto il romanzo vira verso il poliziesco, perché comunque la si voglia guardare ogni vita racchiude qualche mistero.

Un robusto filo narrativo unisce dunque le storie dei vari personaggi, che peraltro possono essere lette come racconti autonomi, e la critica non ha mancato di segnalare il parallelismo con il Decamerone: la peste dei nostri giorni è la guerra. Così come non ha mancato di sottolineare – parole dello scrittore colombiano Héctor Abad Faciolince – che Gamboa “dimostra un’altra volta che nessuno come lui, forse, fra i romanzieri colombiani contemporanei, sa dominare alla perfezione il ritmo delle storie, le risorse narrative per fare in modo che l’attenzione del lettore non venga mai meno”.