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Santiago Gamboa, “Morte di un biografo”

Autore: Il Blog di Panzalenta
Data: 28 ottobre 2011

Un libro singolare, certamente, l’ultimo di Gamboa. Originale, se non nel genere, quantomeno nella trattazione. Sembra che l’eccesso di fantasia dell’autore abbia trovato sfogo fra le sue pagine, anche se dopo l’ultima, quando il frastuono rimbomba ancora nelle orecchie come una eco vicinissima, si comprende bene che ha ancora tante e tante pagine da colmare.
Superficialmente si direbbe che la trama è costituita da alcune storie che s’intrecciano, ma non è così. In realtà, in una parte del libro vengono raccontate, nel senso più puro del termine, alcune storie da altrettanti narratori; storie che, però, rimangono compartimenti stagni, con l’unica eccezione che, per un gioco dell’autore, tutti i loro protagonisti, chi prima e chi dopo, si ritrovano a mangiare un sandwich di pollo ed una coca light.
Un romanziere, che non pratica più la sua arte a causa di una grave malattia che lo ha tenuto fermo per due anni, viene stranamente invitato ad un congresso di biografi. Lui non ha mai rappresentato la vita di nessuno, ma decide di andare lo stesso. Il luogo del convegno è un albergo di Gerusalemme che offre ai suoi ospiti una grande accoglienza, anche se da fuori si ode sempre più vicino il ruggito di una guerra fra civiltà che non finirà mai.
Lì si incontrano i personaggi più singolari che accettano di raccontare le proprie storie vere, o quelle da sé conosciute, alla platea degli intervenuti. Fra le storie ci sono quelle di una pornostar italiana, quelle di due incalliti giocatori di scacchi avulsi dalla società, di un meccanico colombiano che, dopo essere rimasto vittima della malavita organizzata, decide di vendicarsi contro i suoi carnefici. E, poi, infine, c’è la storia di un pastore evangelico, José Maturana, un uomo dalle sembianze di un culturista rozzo e pieno di tatuaggi che, poco dopo aver narrato la sua singolare odissea che lo ha condotto dalla strada alla cabina di regia di un nuovo ordine religioso, muore in albergo in circostanze singolari.
In effetti, tutto lascia pensare che Maturana si sia tolto la vita, ma il protagonista della storia, il romanziere non biografo fermo ormai da tempo, non ne è del tutto convinto e, con l’aiuto di una giornalista, anch’essa con la sua storia, tutta da far nascere, e di un impiegato dell’albergo, indaga su ciò che di sé Maturana non ha detto o ciò che ha artatamente falsato. Forse in lui, infatti, sta tornando lo stimolo per la scrittura e, chi lo sa, forse sta nascendo l’ispirazione per la sua prima biografia.
Non è un noir né tantomeno un thriller o un poliziesco, ma incarna in sé un po’ dell’uno e un po’ dell’altro genere. Non è nemmeno un libro sulla guerra in Palestina o, più in generale, sugli orrori e le miserie della prevaricazione del più forte sul più debole, come non lo è sullo spirito umano e sull’importanza e la prevalenza dei sentimenti sui beni materiali. Eppure, il libro suscita riflessioni anche su questi temi. Io l’ho trovato bellissimo da leggere, mai stancante, anzi appassionante e, a tratti persino divertente. Sono rimasto affascinato dalla capacità dell’autore di dar voce a più personaggi per far loro raccontare la propria storia, col proprio linguaggio e i propri ritmi, e poi anche dal suo spirito apparentemente distaccato nel rappresentare la crudeltà che può presentarsi ogni giorno dietro l’angolo. Tuttavia, per i miei gusti personali, mi sarebbe piaciuto trarre in conclusione una morale più marcata.