La storia che Silvia Montemurro racconta in La mondina ha per protagoniste due donne. La prima è Lena, ha quindici anni ed è una figlia della risaia. Orfana di entrambi i genitori, abita una realtà dura fatta di fatica, fame e canti. È il 1913 e Vercelli è un borgo contadino che fa del riso il perno dell'intera comunità. La seconda protagonista è Grazia, moglie del padrone della risaia, donna ricca, bella e triste. Vive a Torino ma vorrebbe andare in Giappone, vuole diventare madre ma non può avere figli. È il 1913 è Torino è città di sogni, ancora lontana dal conflitto mondiale. È Grazia a interessarsi a Lena, le propone di trasferirsi nella sua grande villa, ospite da accudire, vestire, educare. Grazia ha un piano preciso: con la complicità del marito vuole che Lena le dia un figlio e le regali la famiglia da sempre sognata. In cambio le darà mille lire: una cifra impensata, insperata. Con quel denaro Lena potrebbe cambiare vita, persino comprarsi la risaia intera. I piani però non sempre vanno come previsto. E l'epilogo, tragico, è purtroppo annunciato. È la storia di due donne che in apparenza non hanno nulla in comune, ma che abitano una società da cui subiscono gli stessi pregiudizi. Silvia Montemurro, autrice al suo terzo romanzo per edizioni e/o, racconta una femminilità resa fragile da un ambiente che non le dà voce ma non per questo si rassegna a un destino tracciato. Com'è arrivata a lei questa storia? «Ho sempre voluto raccontare le mondine. Sono affascinata dai mestieri delle donne del Novecento e La mondina è parte di una trilogia che, attraverso la narrazione romanzesca, racconta il lavoro femminile del secolo scorso. Ho iniziato con La piccinina, sempre per edizioni e/o, e non ho più smesso». (...)