“Perciò toccò a me, la freelance Sara Byrne, essere spedita dal vicecaporedattore esteri del Tribune Neil Devereaux dal mio monolocale ingiallito dallo sporco in un seminterrato di Gerusalemme Ovest fino alla stanza 22 del The Beach Hotel…” (p. 16)
Sara ha trentatré anni, vive a Londra, e come giornalista, finora, non ha fatto questa gran carriera finché non viene spedita a Gaza City al posto del corrispondente ufficiale del Tribune, Anthony Harper che non ha alcuna voglia di esporsi per quella ennesima guerra sporca fra israeliani e miliziani di Hamas. Il The Beach Hotel è il quartiere generale della stampa estera, uno dei pochi luoghi della città quasi al sicuro dai colpi di Israele.
No, non siamo nel 2025 e non stiamo parlando dell’attuale guerra, sebbene ogni descrizione letta ci riporti lì. Siamo nel 2012, ma lo scenario è identico: gli attacchi di Hamas, le lotte intestine e le esecuzioni sommarie a Gaza City fra i miliziani delle varie fazioni, i razzi sparati contro Israele, i violenti bombardamenti via cielo e mare dell’esercito sionista, Bibi Netanyahu al governo, gli ospedali cittadini al collasso, i palazzi distrutti, la sporcizia, le macerie, i morti. E nel mezzo di tutto questo l’agitarsi frenetico dei corrispondenti esteri accompagnati in giro dai loro fixers, giornalisti palestinesi ai quali però è proibito esprimersi direttamente in quanto parti in causa nel conflitto. Sara Byrne segue il suo fixer, Nasser, ma lo ‘tradisce’ con il giovane e pericoloso Fadi quando lui si rifiuta di metterla in contatto con un grosso esponente di Hamas che la faccia entrare nei tunnel del terrore. Ecco, questo sarebbe lo scoop che da tempo insegue, quello che consoliderebbe la sua carriera per sempre. (...)