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La mia famiglia è fatta di fantasmi

Autore: Marco Del Corona
Testata: Corriere della Sera - La Lettura
Data: 16 febbraio 2025

Per abitare questo mondo tocca conoscere l'altro mondo. Un certo andirivieni fra l'aldiquà e l'aldilà permette di farsi una ragione della sorte: la propria, quella della famiglia. Siamo spiriti anche quando non lo siamo ancora, suggerisce Kevin Chen in Città fantasma , primo suo titolo a uscire in Italia. Lo ha tradotto per e/o Silvia Pozzi, che ha domato una prosa lussureggiante e ibrida made in Taiwan . Il romanzo scivola nei meandri di una famiglia e nelle sue ramificazioni, un coro di infelicità personali che si aggrovigliano, cinque sorelle si spartiscono destini dolorosi (sono «figlie indesiderate: quante probabilità possono avere di stare "bene" nella vita?»), morti precoci, matrimoni con telegiornalisti tirannici e stupratori, scelte di clausura, madri devote alla supremazia del maschio (basta che non sia «anormale, un pervertito») e feroci nell'odio per la femmina. Il baricentro è Piccolo, l'ultimogenito che in Germania fa l'esperienza del sangue. Chen potrebbe dire di sé quello che dice uno degli spiriti (carnalissimi, peraltro) convocati dalla trama: «Dipendo dai ricordi, sono un parassita della memoria». Nulla è come appare, gli opposti convivono. «La Lettura» ha conversato con Chen collegato dalla sua casa di Berlino. «Yongjing è un mortorio, un cimitero», scrive. Non un luogo immaginario: la sua città come ha accolto il libro?

«La mia è fiction che nasce da fatti veri. Se nel romanzo ci sono cinque sorelle e due fratelli, nella realtà io di sorelle ne ho sette. Mi dicevano: "Fratellino, non è che potresti scrivere qualcosa che gli esseri umani sono in grado di capire?". Poi mi arriva un messaggio: "Stiamo leggendo il tuo libro". E perché? E loro: "I vicini! Lo stanno leggendo i vicini". I nostri vicini di Yongjing. Che sono andati dalle mie sorelle a dire: "Vostro fratello ha scritto di voi, disastro!". Alla fine mi sono messo a fare giri con i lettori nei luoghi del libro».

Possiamo parlare di realismo magico per «Città fantasma»?

«Io forse no. Ma un sacco di lettori e di critici hanno tirato in ballo il realismo magico. Quello che sembra magico da fuori, in questa città è reale. Una cittadina insignificante in mezzo al nulla, nel centro di Taiwan...Ad esempio: ho scritto di un vicino che diventa ricchissimo vendendo biscotti in Cina. Ebbene: davvero un vicino dei miei ha fondato un marchio di spaghetti istantanei, Kang Shifu, che è diventato un colosso e mio padre fu davvero uno dei primi a investirci. Che una delle famiglie più ricche venisse da una cittadina così piccola sembra quasi impossibile. Magico, appunto. Io amo il realismo magico ma in questo caso, da scrittore, posso dire che è tutto vero».

Nella cultura dell'Asia orientale spiriti, fantasmi e affini sono ben presenti. È la base di «Città fantasma»?

«In Italia, con il cattolicesimo, forse è diverso, ma in Asia noi crediamo ai fantasmi e gli spiriti sono una parte significativa della vita. Nella Cina continentale ora meno, perché con il comunismo quella dei fantasmi è un'idea da cassare: scrivere di fantasmi lì può essere complicato, lo sappiamo, non sono tempi facili per gli scrittori in Cina... Comunque i fantasmi nella narrativa sono molto importanti».

Un romanzo di fantasmi. E di traumi.

«Ho voluto giocare con la parola gui , che in cinese è un termine molto ambiguo perché non lo usiamo solo per intendere i fantasmi o gli spiriti. Può indicare qualcosa di negativo. Se un posto non mi piace, se lo odio, posso dire che sia "fantasma" anche se non ci sono i fantasmi. Gui è una parola quasi intraducibile».

E lei con l'ambiguità si è divertito.

«Ci ho giocato, sì. Ha a che fare con me, con la cultura, la famiglia, il tuo Paese se il tuo Paese è pieno di violenza e di orrore. E infatti faccio riferimento al "terrore bianco" (la repressione da parte del regime di Chiang Kai-shek, ndr ), agli arresti durante la legge marziale, abrogata nel 1987. Un Paese sotto la legge marziale, senza libertà d'espressione, è un Paese maledetto, infestato. Volevo giocare con l'idea di fantasma a più livelli». (...)