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Quello che resta di un amore acerbo

Autore: Alessandra Sarchi
Testata: Corriere della Sera - La Lettura
Data: 9 febbraio 2025

Come immagina l'amore uno scrittore trentenne oggi? Con questa domanda in mente si dovrebbe leggere Addio, bella crudeltà, l'esordio romanzesco di Riccardo Meozzi, già autore di racconti e di una novella illustrata, Piccolo nome, grande sangue (Moscabianca edizioni 2022), perché se c'è un luogo in cui si manifestano le convenzioni sociali, i riti, i rapporti di forza tra persone, e specialmente fra uomini e donne, quello è proprio il rapporto amoroso. Demistificando tanta retorica che vuole l'amore un sentimento universale, la letteratura ci offre da millenni la possibilità di verificare quanto di universale ci sia nel bisogno di amore e quanto viceversa di particolare, di storicamente datato e collocato, si manifesti nelle forme che assume di volta in volta la risposta a tale aspirazione. Per questa ragione è interessante vedere come le nuove generazioni definiscano l'amore in letteratura e soprattutto come lo immaginino, ossia in quale misura ciò che hanno assorbito dalla cultura del tempo si meGiovanni scoli alle istanze che avvertono come più innovative, perché è pure vero che l'amore è anche il luogo della sovversione, dei possibili cambiamenti.

Riccardo Meozzi sceglie di ambientare la sua storia nei primi anni Novanta del secolo scorso, a rigore un'epoca che non ha conosciuto se non come bambino, è nato infatti nel 1994, data di inizio del suo romanzo, forse perché questo gli consente di sottoporre a verifica situazioni e sentimenti che alla luce dell'oggi apparirebbero sotto etichette correnti come amore tossico, relazione di dipendenza, famiglia disfunzionale, e che allora non venivano nominate come tali, ma in modo più banale ricadevano nell'area degli amori infelici.

Addio, bella crudeltà racconta le vicende, racchiuse in una manciata di anni, di Lidia e Giovanni, due giovanissimi che riversano nel loro legame tutta la radicalità e le incertezze dei ventenni. Il loro è un rapporto asimmetrico, dove Giovanni prevale e stabilisce le regole fino a quando non si ammala; allora il rapporto di forza si ribalta a vantaggio di Lidia.

Il racconto procede a ritroso, a partire dalla stanza e dall'atmosfera claustrofobica e straniante dove Lidia sta insieme a un uomo, stesa sul pavimento, a bere vino da una bottiglia e a domandarsi se l'intensità del suo passato tragico allenterà mai la presa consentendole di vivere nell'oggi, di fare l'amore per esempio con questo uomo che garbatamente la corteggia. Il presente da cui il tempo comincia a volgersi all'indietro è quello di una giovane donna in lutto, tutto intorno a Lidia e dentro di lei è disadorno, svuotato: la stanza senza mobili, l'incapacità a ricordarsi il nome di chi ha davanti; è lo spazio perfetto per accogliere il ricordo di ciò che le è accaduto.

(...)

Addio, bella crudeltà è un romanzo dolente sulla giovinezza che dura l'éspace d'un matin, con il suo splendore e con le sue illusioni. L'impatto con il mondo adulto, con la malattia e con la morte, fa deflagrare i due protagonisti e li lascia inermi, senza nemmeno accordare loro lo spazio per l'elegia. Ma il pragmatismo di Lidia davanti alla morte del marito e al fatto di ritrovarsi incinta, ci consegnano una figura femminile potente che da vulnerabile diventa fortissima e matura, capace di decidere per sé senza nessuna indulgenza all'autocommiserazione. Lidia senza lo sguardo di Giovanni su di sé dovrà elaborare un proprio sguardo sul mondo. Il finale antitragico del romanzo ci lascia capire che saprà farlo, liberandoci anche dall'ultima ipoteca degli amori romantici e fatali.