Dopo il lungometraggio che la regista Cheyenne Carron gli ha dedicato (Que notre joie demeure), ora a padre Jacques Hamel, il sacerdote ucciso da un islamista nella sua chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray, non lontano da Rouen, il 26 luglio 2016, viene dedicato un romanzo. Il libro, incalzante e ben congegnato, è uscito dall’immaginazione e dalla penna di Etienne de Montety, giornalista ben noto a Parigi e dintorni (è responsabile di Le Figaro litteraire, il supplemento culturale del prestigioso quotidiano) e scrittore affermato: i suoi precedenti romanzi hanno ottenuto il Prix de Deux Magots e il Prix Freustié. Ora La grande tribolazione (pagine 224, euro 18,00) è da domani in libreria per le edizioni e/o. Con questo romanzo De Montety si è aggiudicato il Grand Prix de l’Académie Française e la stampa francese lo ha accolto con grande favore: Le Nouvel Observateur l’ha paragonato a Bernanos per il giudizio sospeso sui suoi personaggi, anche coloro che si macchiano del peggior crimine, mentre la Croix ha scritto che leggendolo «si prova un evidente sentimento di fatalità tragica» dentro una «forma corale, di grande chiarezza».
Perché questo romanzo con un soggetto l’assassinio (vero) di un prete?
«Per due ragioni. La prima, legata alla mia professione: il giorno che padre Hamel venne ucciso, ero in servizio al giornale. Ho seguito da vicino per diversi giorni quella tragedia, nel senso letterale del termine, cioè di un sacerdote che sul suo altare viene sacrificato; inoltre, ho scritto diversi editoriali su quel fatto e quello che ne è seguito, ci ho riflettuto molto. Mi colpiva che in padre Hamel fossero stati colpiti tanti preti considerati “inutili” in Francia, così come il fatto che gli assassini fossero nati in Francia, avessero usufruito di scuole e dell’educazione francese, e ciononostante si siano radicalizzati come musulmani fino ad arrivare ad uccidere un prete sull’altare».
E il secondo motivo?
«Proprio in quei giorni i miei figli erano alla Giornata mondiale della gioventù di Cracovia con Papa Francesco. E questo scontro, tra due giovani francesi musulmani diventati islamisti e terroristi, e le migliaia di giovani che si ritrovavano in Polonia a pregare, a lodare Dio, a stare insieme nella festa, mi ha molto colpito. L’evento dell’uccisione di padre Hamel mi ha realmente scosso. Mi ha fatto meditare e mi ha spinto a pormi diverse domande: che ruolo ha la religiosità nella nostra società? Le religioni sono fattori di pace o di violenza? Che senso ha la vita di padre Hamel, come quella di altri sacerdoti considerati “inutili”, nel nostro mondo secolarizzato? Come è stato possibile che alcuni giovani si siano radicalizzati così tanto? Da queste domande è sorta l’idea del romanzo».
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