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Maledetto mal di Sudafrica

Autore: Susanna Nirenstein
Testata: La Repubblica - Robinson
Data: 12 gennaio 2025

La disperata ricerca di una possibilità, di uscire dalla solitudine, dal senso di diversità, dalla perdita e dal lutto, dal Paese difficile in cui si è nati e cresciuti, per poi ritrovarlo e riandarne via e poi tornarci e così ancora quasi per sempre, di allontanarsi dalla crisi di identità, dalla pesantezza della memoria: il romanzo del sudafricano (classe 1970) S. J. Naudé Padri e fuggitivi (edito da e/o e ben tradotto da Silvia Montis dalla versione in inglese del testo scritto in afrikaans) è un libro strano e bellissimo. Una scrittura perfetta accompagnata anche da quella sorta di nichilismo che la passività porta con sé, in quel gioco a somma zero che ti porta a finire dove hai iniziato, «come in una cerimonia giapponese, fugace come il vapore». In realtà nell'alternarsi del respiro affannato cosmopolita con il silenzio del veldt comunque pieno di accadimenti, il libro (il terzo di Naudé ma il primo in italiano) rientra appieno nella tesi sostenuta nell'interessante saggio di Danyela Demir Reading Loss , ovvero che la letteratura contemporanea del Sud Africa, quella ormai lontana dai romanzi politici della generazione che ha combattuto l'apartheid, sia intrisa di melanconia, di perdita, di resistenza, di memorie tramandate incancellabili perché questo popolo, bianco o nero che sia, rimane ancora oggi ferito dal conflitto passato. Una melanconia legata al trauma, uno stato patologico che non riesce a staccarsi dall'oggetto perduto o dal deserto che si è creato, un blocco dove gli oppressi non possono superare la ferita ma anche la mancanza di responsabilità di un tempo e gli oppressori non possono superare la colpa e la vergogna, ma anche la fine del privilegio. Impossibile non pensare anche ai titoli meravigliosi e impotenti di Damon Galgut, per non parlare del Nobel J. M. Coetzee. (...)