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Vite e fantasmi sudafricani

Autore: Alessio Torino
Testata: Corriere della Sera - La Lettura
Data: 5 gennaio 2025

Nel romanzo in cinque atti diS. J. Naudé ogni capitolo insiste su una morte. Il protagonista, Daniel, torna a Città del Capo per assistere il padre e si trova ad affrontare vari colpi di scena Le pagine sono disseminate di riferimenti al computer , quasi un oggetto magico archetipico che sembra contenere ciò che il protagonista continua a inseguire da un continente all'altro

Le edizioni e/o portano per la prima volta in Italia uno scrittore sudafricano che i lettori scopriranno di certo con piacere, S. J. Naudé, già autore di raccolte di racconti e di romanzi ben accolti all'estero, e che ora fa il suo «debutto» qui da noi con Padri e fuggitivi . Il romanzo si compone di cinque capitoli che vedono all'opera, per quanto sotto cieli ben diversi fra loro, Daniel, uno scrittore sudafricano che vive a Londra nel consapevole abbaglio «di poter scambiare un continente con l'altro». Sono cinque capitoli che hanno una relativa autonomia, soprattutto i primi due. Questo perché la scrittura di Naudé tende alla forma-racconto: se la sessantina di pagine del primo capitolo, Dove si accoppiano i lupi , fossero state un romanzo breve, le avremmo gustate senza percepire la mancanza di qualcosa di più ampio.

Daniel, a una mostra della Tate Gallery, conosce due serbi con cui inizia un ménage equivoco. Non è dato capire se si sorregga sul sesso, su una truffa o sul puro e semplice fatalismo. Ma l'avventura continua, dall'appartamento londinese di Daniel dov'è cominciata ed è andata avanti per giorni, a un campeggio tra le montagne della Germania del sud, per poi finire a Belgrado, nella «tana» dei due che ricambiano per così dire l'ospitalità. Questo è solo l'inizio: nel secondo capitolo Daniel atterra a Città del Capo per assistere il ricco padre nei suoi ultimi giorni di vita, in quel quasi nulla che gli concede la malattia cerebrale. Escono a fare passeggiate regolari, con Daniel che sorregge il padre per il braccio non sapendo fino in fondo se «è lui, il figlio, ad essere sorretto, trascinato per quelle salite impietose dalle mani dell'ottantaduenne». Figlio che non può nemmeno contare sulla comunione con il sangue del suo stesso sangue: la sorella che vive in un agio da nababbi e nella rimozione grottesca del dolore.

Nitida la geometria che in Padri e fuggitivi sostiene l'insieme. Ogni capitolo insiste infatti su una morte. Così accade anche nella terza parte, dove Daniel, per una condizione posta dal testamento del padre, riprende contatto con Theon, un cugino che abita in una fattoria sperduta del Free State e si ritrova ad aiutarlo in una missione con ben poche speranze: salvare un bambino malato portandolo in Giappone per una cura sperimentale. E così nella quarta, ambientata anni dopo, in cui Daniel è ancora una volta in compagnia del cugino; formano ormai una coppia di padri che meditano una fuga per adottare un orfano. A chiudere la serie, la resa dei conti di Daniel, da vecchio, nel cimitero di famiglia, vivo visitatore della città dei morti, «senza dolore e senza desiderio, alla deriva nel mare trasparente», di fronte a una lapide senza nome con cui non sa se potersi riconciliare. (...)