«Damon Galgut, scrittore sudafricano classe 1963, vincitore e due volte finalista del Booker Prize, è abitato da un disagio implacabile e perturbante, un disagio esistenziale ma anche diretto verso la narrativa egemone del suo Paese, quella sicura che, con la fine dell'apartheid del 1994, sia iniziato un periodo di intenso e ottimistico rinnovamento creativo.
L'hanno paragonato più volte a Coetzee e sicuramente c'è del vero. La preda, il nuovo romanzo pubblicato come sempre da e/o per la traduzione di Tiziana Lo Porto, per quanto sia del 1995, ovvero sia una delle sue prime opere, non smentisce questo cuore del suo lavoro, anzi, le sue evidenti sperimentazioni non sono l'espressione di un nuovo fiorire letterario post-regime, ma di un antagonismo vivo e vivente agli imperativi socio-politici, ai codici del realismo vittorioso.
In lui, fin da allora e in tutti i suoi bellissimi libri successivi, non c'è alcun senso, alcuna speranza di radiosi futuri o di fine della storia, al contrario c'è il continuo suggerimento che il passato continuerà a lungo a gettare la sua ombra sul Sudafrica e la produzione culturale nazionale. L'abbiamo visto nei magnifici Il buon dottore, L'impostore, La promessa e oggi in questo precoce La preda.[...]
C'è giustizia? Piuttosto un clima di sconfitta globale. La prosa è scarna, lirica, come il paesaggio. Luminosa e cupa come le stelle e il cielo.
È Galgut, un poeta eterno pessimista, uno scrittore che sfiora la perfezione e fruga nelle ferite nostre, dell'umanità e soprattutto in quelle della sua nazione.»