L’editore di Elena Ferrante racconta il suo percorso, dagli anni difficili ai best-seller
Mentre si avvicina il periodo dell’assegnazione dei premi letterari, e Vincent Bolloré ha scambiato Editis, il secondo gruppo editoriale francese, con il primo, Hachette Livre, L’editore presuntuoso, sottotitolato O come un piccolo editore indipendente incontra il successo, costituisce una lettura particolarmente interessante. Questo racconto, che tende al saggio, esplora i retroscena del mondo editoriale e compensa le cattive notizie che ne emergono con deliziose pagine autobiografiche. L’autore, Sandro Ferri, e sua moglie, Sandra Ozzola, sono i fondatori e proprietari delle Edizioni E/O, che significa “Est/Ovest”.
Felici lo sono, perché pubblicano Elena Ferrante. Quindi dal punto di vista finanziario va tutto bene, dopo decenni difficili. L’amica geniale, pubblicato nel 2011, è stato eletto dal New York Times miglior romanzo del primo quarto del XXI secolo, il che ne ha ulteriormente incrementato le vendite. Un’altra fonte della loro solidità e importanza sul mercato editoriale mondiale è la pubblicazione nel 2007 dell’Eleganza del riccio di Muriel Barbery, un best-seller.
L’editore presuntuoso non si rivolge solo agli addetti ai lavori. Certo, Sandro Ferri traccia un quadro del panorama editoriale segnato dalla grande concentrazione di case editrici e dall’importanza del marketing. Questa diagnosi era stata anticipata da André Schiffrin (1935-2013) in Editoria senza editori (la Fabrique 1999/Quodlibet 2000). Non serve riscrivere quel libro, e Ferri, nato nel 1952, non è un novello Schiffrin. Scrive altro, racconta il suo percorso e i ricordi del suo ingresso nel mestiere alla fine degli anni Settanta in Italia. In vent’anni lui e sua moglie hanno conosciuto alcuni alti e molti bassi. L’editore presuntuoso è un testo erudito, divertente, simpatico e un po’ disordinato. Si ha l’impressione, leggendolo, di ascoltare Sandro Ferri raccontare la propria storia, senza vantarsi ma cercando di divertire i suoi ascoltatori, trasmettendo loro idee e desideri. L’autore è un intellettuale gioioso, un uomo d’affari, un padre, un marito e un amico. Nel chiudere L’editore presuntuoso si ha voglia di leggere e agire.
Un profilo eccentrico
L’aggettivo “presuntuoso” rimanda alle qualità necessarie all’editore così come lo concepisce Ferri. “L’editore-soggetto”, che ama ciò che pubblica, contrariamente all’“editore-macchina”, è un “personaggio insolito, discutibile, egocentrico”. Desidera “imporre i suoi gusti, le sue scelte, la sua personalità”. È prendere o lasciare, rischia il fallimento, ma il gioco è questo. Ferri e sua moglie provengono da “una borghesia non così colta, una borghesia d’azione più che di studio”. I genitori di Sandro Ferri sono stati ricchi per un periodo, prima di perdere tutto. Tornato dalla Fiera di Francoforte, l’editore confida a Libération che suo padre, morto giovane, ad appena 47 anni, aveva un’impresa edile. Quanto a sua madre, di origine americana, nel 1977 gli aveva dato abbastanza per poter aprire una libreria a Roma, dietro piazza Navona. Nessuno frequentava quel quartiere della capitale, all’epoca. Erano gli anni di piombo. Ferri non apprezzava “né i terroristi, né la polizia”, scrive. La libreria arrancava, moltissimi libri venivano rubati, ma il luogo divenne un punto di incontro per i fumettisti italiani. Sandro Ferri si recava spesso a Parigi e lì aveva accesso a “un vortice di idee” quando Roma gli sembrava “periferica”. Si legò a Robert Linhart, l’intellettuale maoista stabilitosi in fabbrica e che divenne muto: “Lui che aveva tanto creduto nella forza delle parole era stato ridotto al silenzio. La sua storia mi sembrava un avvertimento”. Durante uno dei suoi soggiorni parigini Ferri vide Sartre seduto in cima a una pila di sedie, davanti a un caffè chiuso. Il filosofo “guardava la piazza in silenzio”.
Dopo il fallimento commerciale della libreria, nel 1979 Sandro Ferri e “Sandra” lanciarono la loro casa editrice, specializzata in letterature slave. L’interesse per gli scrittori dell’Europa dell’Est conferì loro “un profilo eccentrico in Italia”. La coppia rimase ai margini di quello che l’autore chiama il “centro politico” italiano, ossia i partiti socialista e comunista. Lui e sua moglie apprezzavano le persone “che avevano a che fare con l’estero o di tendenze politiche più estreme”. Negli anni Ottanta pubblicano Cassandra, di Christa Wolf (1929-2011), un best-seller. Ma la caduta del Muro pone fine alla specificità dell’Est intorno a cui ruota la casa editrice. Negli anni Novanta Sandro Ferri e sua moglie Sandra sono indebitati, ma riprendono vigore all’inizio degli anni Duemila grazie a Muriel Barbery e ad Alice Sebold, autrice di Amabili resti. Il catalogo delle Edizioni E/O si arricchisce allora di letteratura anglofona con Thomas Pynchon, Alice Munro, Edna O’Brien e Joyce Carol Oates.
Pressioni e macchinazioni
Di Elena Ferrante, che lui e sua moglie conoscono dagli anni Novanta, l’editore non rivela nulla. Lo annuncia solennemente: “Siamo ovviamente dispiaciuti di non poter raccontare le storie, le avventure, i ‘giochi’ che abbiamo vissuto insieme. È nostro dovere mantenere la discrezione che Elena ci ha chiesto sin dal primo istante”. Oggi Sandro Ferri e Sandra hanno una casa editrice in Gran Bretagna e un’altra negli Stati Uniti. Pubblicano solo libri che piacciono a loro: “Il 60% dei nostri testi non genera utili”, ci spiega. Le loro scelte vanno da Valérie Perrin al Banchetto annuale della Confraternita dei becchini di Mathias Enard.
Ferri critica gli agenti letterari che fanno salire le offerte su libri talvolta mediocri; se la prende con il premio Strega per via delle pressioni e delle macchinazioni che ne determinano l’attribuzione, e non risparmia i critici letterari, troppo inclini ai superlativi: “Non si può dire di qualsiasi libro che è il più bello, il più avvincente, che gli americani si sono inchinati al talento dell’autore, che il New York Times l’ha definito la rivelazione dell’anno, che ricorda Salinger, Foster Wallace o García Márquez, che lascerà tutti a bocca aperta. Non è vero, non è quasi mai vero”.
Ha ragione: un grande libro è un piccolo miracolo.
Virginie Bloch-Lainé
Per gentile concessione di Virginie Bloch Lainé – Libération