«“La preda” di Damon Galgut, romanzo del 1995 edito ora anche in Italia da Edizioni e/o nella traduzione di Tiziana Lo Porto, è un romanzo circolare, nel senso che inizia dalla sua fine per poi ricominciare un numero infinito di volte, tante quante sono le vite che rappresenta, letteralmente e metaforicamente. Non ci sono premesse per la vicenda del protagonista, un uomo senza nome nel mezzo di una fuga concitata ed estenuante nel Sudafrica natio dello scrittore. Quello che si deduce è che l’uomo cerca riparo. Un romanzo che comincia, quindi, nel mezzo di un’azione, come se lo scrittore stesse continuando un discorso già iniziato chissà dove e chissà quando, ma non è più importante saperlo perché il presente narrativo è più urgente. Sembra che la salvezza arrivi con un prete di passaggio, di cui si arriva a sapere solo il nome, ma non c’è tempo per interrogarsi perché il prete scompare rapidamente dalla vicenda e per il fuggitivo comincia una nuova vita nei suoi panni. Questo è l’inizio della serie di eventi distruttivi che portano Galgut a comporre, in appena 141 pagine, la metafora perfetta della colpa e del rimorso; un romanzo breve che si inserisce nel solco tracciato, nella narrativa statunitense, da Steinbeck e Faulkner, e che per brevità e disperazione ricorda “Uomini e topi” del già citato Steinbeck, con una miseria umana più moderna, ma non certo meno tragica.[...]
Con “La preda”, testo risalente alla prima metà della sua carriera, Damon Galgut consolida il suo habitat ideale di scrittore, ovvero le storie di uomini tormentati in un Sudafrica spietato, e nel farlo smuove le acque quel tanto che basta per porre il dubbio che vittime e carnefici non siano così diversi.»