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Damon Galgut, fuga oltre i cancelli, che portano fino al nulla

Autore: Silvia Albertazzi
Testata: Il Manifesto
Data: 27 ottobre 2024
URL: https://ilmanifesto.it/damon-galgut-fuga-oltre-i-cancelli-che-portano-fino-al-nulla

«Liquidato dalla critica del tempo come un crime novel non troppo avvincente, oppure sottoposto a letture in chiave allegorica piuttosto forzate, La preda è una novella di stampo kafkiano su cui aleggia l’eco dei turbamenti sudafricani del primo Coetzee, dall’inquietante veld di Deserto all’attesa carica di presagi nefasti di Aspettando i barbari, fino al vagare senza meta di Michael K., che finirà in una tana profonda.

Ciò che distingue La preda dalle opere dell’autore di cui Galgut è stato spesso considerato un epigono, e lo rende un romanzo originale, è l’abilità con cui Galgut mantiene costante l’indeterminatezza della vicenda, scarnificando il linguaggio, riducendo la struttura a una serie di capitoli brevissimi (cinquantasei in tutto, alcuni addirittura di sole tre o quattro righe), e elevando a protagonista assoluto il veld brullo e depresso. Giù, in fondo, un villaggio dalle strade sterrate, dove escrementi di piccione striano le pareti della chiesa e un prefabbricato circondato da sacchi di sabbia ospita la stazione di polizia.

Galgut sottolinea l’ambiguità della situazione sin dal titolo, The Quarry che, in inglese, può significare tanto «la cava» quanto «la preda»; in effetti, nella storia, l’elemento naturale e quello umano sono intimamente legati: la cava abbandonata conserva il macabro segreto del fuggiasco. Inoltre, nel corso della caccia all’uomo, mentre criminale e poliziotto si scambiano i ruoli, fino ad apparire l’uno «preda» dell’altro, si inserisce l’inseguimento di un ulteriore ricercato, evaso dalla prigione del villaggio, che diviene in certo modo «preda» di entrambi. Se si aggiunge che proprio la cava è la fonte di tutti i guai per il secondo evaso, la valenza plurisemantica attribuita da Galgut al titolo del romanzo diventa palese.»