Il tenente della Dgse Tedj Benlazar potrebbe essere scambiato per un allarmista, pronto a scorgere tracce del peggio anche di fronte ad una scena idilliaca. Come operativo dell'intelligence francese ad Algeri all'inizio degli anni Novanta, il suo problema principale è però quello di muoversi in uno scenario dove gli eventi tragici cominciano a ripetersi con una tale drammatica successione da rendere difficile a chiunque fare qualsiasi tipo di previsioni. Specie se le proprie indagini devono orientare le scelte politiche di un governo, come quello di Parigi, che per ignavia, calcolo politico e chissà cos'altro di inconfessabile, non sembra davvero interessato a fermare la minaccia jihadista che cresce in Algeria e che non tarderà a proiettare la propria ombra sinistra anche sul suolo francese. Con La guerra è un inganno (traduzione di Giovanni Zucca, e/o, pp. 382, euro 19, 50), primo capitolo della trilogia dedicata proprio al detective Benlazar, Frédéric Paulin presenta ai lettori italiani il suo inedito impasto di noir e spy story, geopolitica e romanzo d'avventura che ne hanno fatto, grazie ad una ventina di romanzi e altrettanti racconti, uno dei protagonisti del nuovo poliziesco transalpino.
«La guerra è un inganno» è il primo tra i suoi romanzi dedicati al terrorismo jihadista che esce in Italia: la vicenda ha luogo nei primi anni '90 in Algeria ma - di libro in libro - giungerà fino alle stragi compiute nel 2015 a Parigi. Oggi che quell'orrore appare, almeno sulla carta, lontano, quali interrogativi sul presente ci consegna la storia?
Ho la certezza che conoscere la nostra storia ci permetta anche di comprendere il nostro presente. L'elemento comune a tutti i miei romanzi è di evidenziare a volte la colpa, spesso la responsabilità della Francia nell'emergere di violenze parossistiche come guerre, genocidi, ma anche l'estrema repressione poliziesca. Per quanto riguarda il mio Paese, penso che il suo ruolo di potenza coloniale nel passato e di potenza economica oggi, l'abbia spinto, e lo spinga tuttora, a scelte diplomatiche e strategiche a dir poco imbarazzanti. Così, scrivere dell'Algeria degli anni '90 significa innanzitutto interrogarsi sul ruolo di Parigi nelle difficoltà del Paese nordafricano alla guerra d'indipendenza (1954-1962) ai giorni nostri. Allo stesso modo, occuparsi del primo apparire del terrorismo jihadista che porterà ai drammatici eventi del 2015, significa sottolineare la cecità della nostra politica estera. Dicono che quando si cena alla tavola del Diavolo bisogna aspettarsi di pagare il conto. Detto in modo molto schematico, questo è quello che è successo a noi quando gli attentati islamisti hanno insanguinato la capitale nel gennaio e poi nel novembre del 2015. Del resto, non era la prima volta che la Francia veniva colpita in questo modo: proprio in questo libro mi occupo degli attacchi compiuti da un gruppo islamista guidato da Khaled Kelkal nel 1995. (...)