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Le voci degli altri: tre libri per capire la giovane letteratura italiana di oggi

Autore: Chiara Del Zanno
Testata: Rolling Stone
Data: 19 maggio 2024
URL: https://www.rollingstone.it/cultura/libri/le-voci-degli-altri-tre-libri-per-capire-la-giovane-letteratura-italiana-di-oggi/907495/

(...) Maia ha ventisei anni. Dopo la morte prematura della sorella lascia gli studi di Psicologia a Parigi e si ritrova a sopravvivere lavorando part-time in un pub milanese (anche se “io Milano non la trovo dinamica, la trovo squallida”). Il resto del tempo lo trascorre sul divano a fumare erba e intorpidirsi con il binge-watching di Law & Order, ma anche a scrollare i profili degli altri, bloccata nel paradosso di invidiare le vite che detesta. Il cortocircuito scatta quando ha l’occasione di entrare nel team comunicazione di un’influencer adolescente, tale famosissima Gloria. Già il primo approccio racconta il cinismo squisito di questa autrice: “Ha un rossetto ciliegia e una maglietta che si domanda: WHO RUN THE WORLD? Immagino con orrore che dietro ci sia scritto: GIRLS”. Da qui in poi, il romanzo di Irene Graziosi si evolve in una disamina accuratissima e magnetica dell’universo-influencer. Di più: diventa una sorta di autopsia in vita della web generation. Se Davide Coppo racconta gli ultimi tentativi dei millennial di definirsi come identità fisiche, nella speranza di partecipare alla Storia non come ologrammi ma agendo sul campo, Irene Graziosi ci sbatte in faccia la realtà di una finta rivoluzione in pixel: è la grande bufala della politica dell’algoritmo. Così, strisciando da outsider nel mondo della creator economy e trovandosi direttamente al servizio del mostro che combatte, Graziosi riesce a trasformare in narrativa quel senso di disagio, biasimo e livore che la maggior parte di noi coltiva ogni santo giorno, scrollando i social e osservando passivamente la distopia di una nuova classe sociale distante anni luce dal nostro quotidiano. Graziosi nel Profilo dell’altra ha la mira di un cecchino, lo sguardo di una sociologa e la rabbia di una generazione impotente. O almeno, di quella gran fetta di “giovani” che ha ancora il diritto di definirsi working class senza che suoni come una supercazzola. Traccia il profilo perfetto dell’altra, di questo ectoplasma che diventa casta, ovvero la tipica influencer: “Ride. Non si offende mai. Qualunque cosa io dica rimbalza sul suo privilegio”. È l’istantanea di una no-working class dominante, che parla per superlativi assoluti (tutto è “issimo”, “super”, “mega”) e che si rafforza facendo rete. È qui che il gioco si fa serio: quando Graziosi mette le mani nel fango dell’attivismo digitale, del femminismo che fattura, dei contratti da 20k a post per chiacchierare d’inclusione, della strategia di commenti in stile “che potenza, sorella!” per aumentare l’engagement senza contribuire ad alcun cambiamento concreto. “Vanno avanti ancora per qualche minuto lodandosi a vicenda per il coraggio dimostrato nell’essere se stesse”, scrive lei, per poi avvisarci che l’obiettivo è ben diverso, cioè che si “comunichi l’essere se stessa senza mai esserlo davvero”. E infatti, in questo carnevale di cosplayer dell’empatia, tutti devoti alle più nobili cause sociali, c’è una battaglia che nessuno sposa mai, neanche sotto adv: quella del divario economico e del privilegio di classe. Perché – non potremmo dirlo meglio di Marracash – oggi che possiamo rivendicare tutto, non possiamo ancora essere poveri. “Perché tutto è inclusivo a parte i posti esclusivi, no?” (...)