«Ci sono libri che suonano come canzoni. Succede per Autoritratto newyorkese, ultimo romanzo di Maurizio Fiorino, capace di evocare la stessa malinconia tossica, sabbiosa e fatale di certe canzoni dei Velvet Underground, Candy Says, Sunday Morning o I'm Waiting for the Man.
Come la voce di Lou Reed, la scrittura di Fiorino - 39 anni, un percorso che mette insieme la fotografia e la scrittura, con vari romanzi all'attivo, tra i quali Amodio e Macello - è dolce e disperata mentre racconta in prima persona il trasgressivo bildungsroman di un italiano sui vent'anni che dal Sud d'Italia si trasferisce a New York per frequentare una scuola di fotografia. Siamo nei primi Duemila e vivere con pochi soldi nell'orbita scintillante della metropoli è un'impresa; si rischia continuamente di implodere, di essere sputati in qualche galassia lontanissima o di sparire senza lasciare traccia come ignota materia cosmica».