Silvia Montemurro torna in libreria con un romanzo sulle bambine milanesi che, nel 1902, diedero vita a uno sciopero contro lo sfruttamento cui erano sottoposte nelle botteghe di moda
Quello tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento fu un periodo di rivolte e scioperi. Alle dieci giornate di sciopero del 1902 a Milano presero parte bambine e adolescenti, modiste, apprendiste sarte, corriere. Tra queste, Nora, una delle tante che lavorano nelle botteghe sartoriali, sfruttate e sottopagate, che nel dialetto milanese dell’epoca venivano chiamate piscinine. Nora è la protagonista del nuovo romanzo di Silvia Montemurro, La piccinina, in libreria da oggi per Edizioni E/O. Abbiamo chiesto all’autrice di raccontarci perché la storia di Nora è così simile a quella delle ragazze d’oggi.
Era un ritratto appeso nella mia cameretta, mi guardava con quei tipici occhi che ti seguono ovunque. Pensavo fosse mia madre, crescendo capii che era una bambina speciale e iniziai a confidarle i miei segreti. È nata così la mia passione per La piccinina, il dipinto di Emilio Longoni, famoso pittore italiano vissuto tra l’Otto e il Novecento e che ora è riportato sulla copertina del libro. Ritrae una “piscinina”, come venivano chiamate a Milano le bambine impiegate nelle botteghe delle sarte.
Una storia di donne come tante, solo che questa è stata quasi del tutto dimenticata. Eppure potrebbe parlare alla donna di oggi, di questi tempi più che mai.
Mi sono documentata per scrivere la storia di queste piscinine e ho scoperto che, nel 1902, un gruppo di bambine, adolescenti, apprendiste modiste, per modo di dire perché alla fine nessuno insegnava loro granché, aveva organizzato un vero sciopero per protestare contro le condizioni di lavoro. I quotidiani dell’epoca avevano trattato la protesta dall’alto in basso, prendendole anche in giro, dicendo che nel clima di quegli anni volevano scimmiottare le proteste degli adulti e consigliando loro di non mettersi ulteriormente in ridicolo. Eppure si erano organizzate, si davano degli appuntamenti, stilarono pure una lista di desiderata. Facevano una vita durissima, sfruttate e bistrattate, la loro paga era quasi inesistente, s’imbruttivano prima del tempo, diventavano gobbe.
Quindi sì, è un romanzo storico, ma ci parla maledettamente dell’oggi. Di donne e uomini sottopagati in fabbrica, che fanno orari assurdi, che spesso quello stipendio non lo vedono nemmeno, tra tasse mutui e bollette. Non stiamo tornando indietro di vent’anni, stiamo tornando ai primi del Novecento, dove il lavoro te lo devi tenere stretto, perché c’è la fila per avere il tuo posto, là fuori. E i sindacati? Un po’ come allora, cercano di non perdere il posto che si sono guadagnati. E le donne? Se vengono stuprate è colpa loro, devono stare zitte, vergognarsi, tenere il capo chino. Succedeva a queste povere diavole che non avevano diritto di parola e che venivano chiamate cocottes, succede purtroppo anche nel 2023, nell’indifferenza di molti. (...)