Il trauma generazionale – gli effetti psicologici e fisiologici sperimentati dalle generazioni successive di coloro che per primi hanno vissuto il trauma – è diventato una delle parole d’ordine più risonanti del nostro tempo, onnipresente nel suo utilizzo e associato a varie forme d’arte negli ultimi anni.
Amore a seimila gradi della pluripremiata scrittrice giapponese Maki Kashimada, tradotto da Anna Specchio e edito da edizioni e/o, riesce a realizzare con successo ciò che molte opere sul trauma generazionale non tentano nemmeno: mette in primo piano l'individuo contemporaneo, collegando la storia e il presente in modo meramente indiretto e metaforico. (...)
Amore a seimila gradi è un'opera profonda e intelligente, una matura inversione di quelle che sono diventate le tradizionali narrazioni sul trauma, in cui la storia è presentata come una forza inevitabile e fatalistica. Il romanzo è anche formalmente inventivo, con la donna che racconta la sua storia sia in prima che in terza persona, motivo per cui il lavoro di Kashimada è un'affascinante esplorazione delle fonti della nostra stessa crudeltà e del nostro livello di azione individuale durante la guarigione da un trauma. La relazione tra la donna e il suo giovane amante è basata più sulla sofferenza reciproca che sull'affetto, si spegne prima ancora che la donna sia pronta a tornare a casa. Eppure non è immune dalla natura fugace della relazione. Anche se la sua vita familiare rimane la stessa, lei è cambiata: ha imparato che le parole, per quanto limitate e imperfette, le danno un'arma contro pensieri cupi e ossessivi. Dare semplicemente voce alle sue esperienze diviene sufficiente per toglierle potere e darle una propria identità.