Un libro che vive di frammenti. Frammenti di una, due o poche righe, che a volte si combinano in riprese, rilanci, correzioni; altre volte si giustappongono a creare contrasti, dissapori, rimodulazioni. Frammenti di passato, presente e futuro. Frammenti che non hanno paura di ripetersi, dove serve, né di accostare momenti lirici ad altri così concreti da risultare crudi e talvolta triviali. Frammenti che, nell'insieme, costituiscono un macrotesto singolare, personalissimo: tutto questo è Clessidra, nuova (e coraggiosa) uscita di Keiran Goddard.
Che Goddard arrivi dalla poesia, e che si sia anche classificato al secondo posto del William Blake Prize, non è un mistero: basta sfogliare poche pagine per capire che c'è una ricerca sulla parola, sul ritmo e sull'accostamento ardito che ha in sé qualcosa della scrittura in versi. Colpisce l'ardimento di frasi che potrebbero sembrare versi singoli, isolati, spesso autoconclusivi e dalla portata universale. Tuttavia, questi versi/micro-frasi si inseriscono in un tessuto che, per quanto a maglie larghe, costituisce pur sempre una trama e un ordito. Un ordito, soprattutto: sì, perché la trama va desunta, mentre verticalmente, all'interno dell'opera, è possibile tracciare temi che attraversano le pagine e tornano, quasi ossessivamente: l'attenzione al corpo dell'altra, il desiderio, il sentimento di attesa prima dell'innamoramento, la piaga del dolore...