(...) Non sempre il coraggio si dimostra soltanto con azioni eroiche o grandi slanci: lo dimostra Renato – Renè – Cappelli, ciabattino cinquantenne che a causa del suo difetto fisico ha vissuto una vita senza viverla, sempre in disparte, fino al momento in cui può dimostrare che quando si combatte c’è bisogno anche di piccoli gesti e ognuno deve offrire ciò che può. E Villa del seminario è anche questo: coraggio, lotta, resistenza. Sacha Naspini racconta una storia intensa e dolorosa tratta da vicende vere, citando personaggi realmente esistiti con un ritmo graffiante, spezzato, che procede quasi a singhiozzi e si increspa, appoggiando frasi su frasi, inizialmente difficile da seguire, ma con uno stile comunque ricercato, quasi poetico. Delicato a tratti, a tratti duro, anche senza essere esplicito nei particolari cruenti e negli orrori che sottintende, taciuti ma tristemente noti. L’uso di dialettismi e neologismi dà musicalità e realismo. Una guerra che assume significati più ampi: guerra a fame, povertà, solitudine, cattiveria, difficoltà. Renè è un personaggio chiave che racconta diverse figure della rivolta, diversi caratteri e personalità complementari. Amarezza, rabbia, dolore, rimpianto, ma anche amore, dedizione e riscatto sono altri ingredienti di quest’opera drammatica di resistenza e orrore, narrata da un punto di vista insolito, quello dei partigiani. Naspini pone l’accento sulla “malattia della dimenticanza” e sull’“affronto del silenzio”, un silenzio che pesa e fa rumore, esprimendo l’amarezza di veder dimenticati fatti ritenuti scomodi, come sempre è accaduto e accade: l’autore regala invece consapevolezza e memoria.